1 Settembre 2021 – Su Argo una nota di lettura a Quaderno croato di Vanni Schiavoni

Su Argo una preziosa nota di lettura a Quaderno croato di Vanni Schiavoni a cura di Lorenzo Mari.

Quaderno croato di Vanni Schiavoni è una selezione di dodici poesie che compiono un’esplorazione geografica e genealogica del territorio croato

 

Dopo i Tre sentieri nei Balcani condotti da Alessandro AnilMaria Grazia Calandrone e Franca Mancinelli in Come tradurre la neve (AnimaMundi, 2019), anche Vanni Schiavoni scrive il suo Quaderno croato, selezione di dodici testi apparsi nel dicembre 2020 nella collana Il Leone Alato, diretta da Andrea Leone per Fallone Editore (che vantava già in precedenza un raffinato catalogo, sempre ed esclusivamente composto di plaquette di 12 testi, firmati da autori come, tra gli altri, Alessandro SalviGianluca Chierici e Franco Buffoni).
La prima e più superficiale peculiarità del Quaderno croato di Vanni Schiavoni è che la sua esplorazione geografica dell’altra sponda – troppo spesso dimenticata, a partire dallo scarso (eppure, a tratti, troppo pervasivo) interesse per il conflitto jugoslavo, per arrivare fino a oggi (con sporadiche, ma meritevoli eccezioni) – dell’Adriatico è anche un’esplorazione genealogica, come mostra la dedica in limine: «Al mio cognome». Schiavoni, come l’antica Riva degli Schiavoni veneziana sulla costa dalmata, è un cognome che denota da subito una possibile, e viscerale, affinità con la slavitudine che si potrà trovare esplorando terre croate. Altra soglia è l’esergo tratto dal finale del Giorno in cui il monastero da Plehan salì in cielo (1993) dell’autrice croata Jozefina Dautbegović, componimento il cui titolo rimanda alla distruzione, nel 1992, del monastero francescano di Plehan da parte dell’esercito serbo. Come ha già segnalato Antonio Devicienti nella sua come sempre puntuale ed esaustiva analisi del libro, «tutto questo significa che Vanni Schiavoni compie il viaggio croato perché riconosce le proprie origini psicologiche, culturali e umane in precisi accadimenti storici e la Croazia ne è l’epicentro».

La genealogia, dunque, non è soltanto individuale, ma ha tratti culturali, storici e politici impossibili da obliterare, anche se (e proprio perché) la loro cancellazione è stata uno degli obiettivi della guerra civile jugoslava. La compenetrazione dei diversi piani può essere asfittica, producendo esiti del tutto nichilisti o, d’altro canto, completamente retorici; Schiavoni sfugge sempre a questa doppia trappola, dopo averla esibita, come succede ad esempio nel primo testo, presso I laghi di Plitvice:

«Pure da qui sarà passato Giuda / e se non proprio da quelle labbra ardenti /un Giuda qualunque si sarà perso / in questo reticolato mistero del rimorso» (p. 16). La memoria, del resto, è condensata «in strappi» (p. 20), e bisogna saper stare in queste lacerazioni, che sono anche sbreghi, aperture di luce e di senso. Illuminazioni, soprattutto, di un sentire comune, per una generazione, da una parte e dall’altra dell’Adriatico, il cui immaginario è stato forgiato dalla divaricazione fra l’immaginario del trauma collettivo – infinitamente mediato dal mezzo televisivo, negli anni Novanta – e quello concretamente esperito: «Perché per sempre saremo bambini / sotto i bombardamenti di Baghdad / siamo ancora ragazzini tra le granate di Mostar» (p. 24).

A tutto questo, fungono da provvisorio contraltare gli splendidi paesaggi naturali della Croazia, consapevolmente rappresentati nella loro forza consolatoria, che arriva fino al gesto quotidiano di chi vi si muove attraverso, «riprendendo poi la via fieri di un tocco / di formaggio a pasta molle con la muffa» (p. 28). È un conforto provvisorio, cui non è possibile credere fino in fondo – simile, in questo, alla ricostruzione postbellica, nella quale «la devastazione» stessa «è stata rimessa a posto», ma «ogni masso» resta «una citazione da mura scorticate» (p. 37).

L’esito del viaggio del resto è, più che sintetico, antidialettico, spostato tutto nei territori dell’etica andata perduta – etica, del resto, che è momento indispensabile per tornare a comprendere, come si legge in chiusura di questa silloge breve e compattissima (e dunque, in realtà, più libro che non plaquette), che «il punto focale, è raccogliere tutto» (p. 38). Non soltanto, dunque, quell’esplorazione genealogica tra Italia e Croazia che si rifrange, fino a perdersi in un gioco di specchi, nella continua oscillazione tra i nomi, tra le parole, che è dovuta al plurilinguismo ancora vivo in terra croata (si vedano, a questo proposito, i titoli speculari di alcune coppie di poesie, come Spalato e poi SplitRagusa e poi Dubrovnik), ma soprattutto quella cultura, quella storia e quella politica che ancora attraversano l’Adriatico secondo «una traiettoria senza attrito che è distanza / e insieme congiunzione invisibile e fisica» (p. 20).

 

 

Kornati

 

Ti metti a pretesto con l’aria dimessa dell’isola
roccia a picco senza umanità
e pochi cespugli che non vorrebbero essere lì.
Il vento calmo fa poco rumore:
è in silenzio che allunghiamo il braccio
posiamo le mani oltre il blu colato sull’acqua
che ci pesca distratti a pascolare il tempo che resta.

I morti non sono tra noi
non in quest’ora del giorno
quando appaiono lo fanno ai bambini
come amici immaginari con la loro altezza esatta.
Noi ripensiamo alla nostra infanzia senza massacri
senza alluvioni o sismi, un gioco o una scommessa era tutto
quello che mocciosi avevamo da perdere.

Eppure questi attorno cresciuti dopo il peggio
sono ciò che l’occhio disconosce
ma la memoria della specie conferma.

Quando smetteremo di essere tentativi?

 

 

Spalato

 

Fiuma la terra di Spalato tutta
dove in rivoli slavi il disordine si scompone
e sulle macerie sembra calata una semina nuova
sembra che il tempo porterà a tumore le cose
a maturazione sui tetti le carcasse dei frutti.

Io cerco mosaici e roghi nella villa fortificata
tu un punto sulla mappa
hai cerchiato tre volte e dici
vuoi vedere com’è fatta una torbiera
se davvero può cambiare il paesaggio
se ancora possiamo chiedere qualcosa
mentre il profumo sicuro della vita ci penetra.

Ma il nostro è un viaggio libero e se i cartelli sconsigliano
di muoversi fuori dai sentieri tracciati
una guardia è costretta a ribadirlo a muso duro
nella lingua rude e sconosciuta
contro i nostri sorrisi fintodispiaciuti
le scuse sincere nel modo italico.

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