Esce in questo mese il terzo titolo della collana Il fiore del deserto, diretta da Eliana Forcignanò: De la lang(ue) di Antonio Belfiore.
De la lang(ue) di Antonio Belfiore è un’opera dal confine mobile e sottratto sempre, anzi inconfinabile, e non solo col vantaggio spericolato di una giovane età. Perché il fluttuare del suo centro di emittenza è determinato da uno specialismo quasi impossibile da parte dell’autore: infatti i concetti di autorialità e de-autorialità, sottratti al punto giusto, ne fanno un testo di ottimo livello. Il plurilinguismo (di cui il testo è greve, tra lingue arcaiche e quasi sacre e moderne, dettate in forma postmoderna e indicizzate secondo un livello della non riepilogazione dei fatti) è solo la maschera (consapevole e voluta) di un atto da farsi e non da farsi che è la poesia, intesa come cosa che resta al fondo, ma non precipitata. Frammento e inferenza di un discorso più ampio, la poesia permane oltre tutto. Oltre anche la medesima coscienza d’azione del poeta, che ora è un poeta, altra un attore. È lo Stato delle cose, laddove muoiono i semantemi e permane il canto (impossibile) nella declinazione mirabile di un testo/atto ancora possibile, molto oltre gli svariati preziosismi scenici (endecasillabi frequentissimi, etc) di cui è capace questo autore.
Antonio Belfiore (Parma, 1998). È studente della facoltà di Lettere moderne presso l’Università di Bologna. Inoltre, presso l’Istituto Superiore di Studi Musicali A. Peri di Reggio Emilia, frequenta il percorso accademico di pianoforte. Ha pubblicato la raccolta poetica Di giovinezza si muore (Oèdipus, 2019).