3 Agosto 2021 – Su Strisciarossa una recensione di Quaderno croato di Vanni Schiavoni

Su Strisciarossa una recensione di Quaderno croato di Vanni Schiavoni a firma di Matteo Fantuzzi.

Quaderno Croato: l’importanza di essere
protagonisti del proprio destino

Sebenico // Si sosta bene sulle terrazze di Sebenico / ci si orienta e si dimenticano / le microbe proteste della fatalità / e si fa musica all’aperto a sera seduti sul prato / all’angolo di un piccolo museo dove incontriamo Tito. // Avvistiamo poche tane di pescatori / che distillano grappe luminescenti / e il resto delle mogli in prospettiva / le immaginiamo tutte dentro mura bianche / di lenzuola stese al sole e acredine ai cancelli / le immaginiamo senza disperazione / senza lutti di fratelli in file di foto di ventenni anni novanta. // In questo momento so esattamente chi sei / non è affatto necessaria una misurazione approfondita / so cosa pensi e quanto mi somigli nei turbamenti / perché per sempre saremo bambini / sotto i bombardamenti di Baghdad / siamo ancora ragazzini tra le granate di Mostar.

Partendo da questo testo di Vanni Schiavoni, un testo di viaggio lungo la dorsale croata, possiamo vedere alcune delle tematiche fondamentali per chi, nato negli anni Settanta, si trova oggi a fare i conti con la contingenza. Da un lato la storia recente, quella dei conflitti di fine millennio, Iraqex-Jugoslavia, ferite in qualche modo ancora aperte che hanno lasciato strascichi, hanno tolto una sorta di innocenza anche alla stessa Europa trovatasi spettatrice debole dei conflitti. Dall’altro l’incapacità di intervenire, di essere protagonista, e non solo nella gestione contemporanea dei profughi, altra pagina nera della nostra civiltà, ma nell’impossibilità di essere in generale parte attiva: nel lavoro, nelle decisioni politiche. La classe che dovrebbe guidare il paese e che lo fa in molti stati esteri, in Italia continua a risultare ovattata, mai espressa totalmente. Come in questo testo di Schiavoni osserva in una eterna fanciullezza smarrita mentre altri decidono.

È la frustrazione di tanti lavoratori che vedono oggi il loro destino appeso alle multinazionali (che certamente non hanno il materiale umano tra le loro priorità), è l’impossibilità di creare impresa da zero, se non in rarissimi casi, spesso privilegiati.
È lontano il mito di chi “si costruisce da solo”, lontani pure i tempi dei diritti dei lavoratori, a partire dal tema della sicurezza: oggi tutto galleggia e galleggia una intera generazione che dovrebbe doverosamente iniziare a fare spazio alle successive che altrettanto premono per contribuire con idee fattive e visioni nuove.
Eppure tutto appare bloccato, un tappo che sempre più ci ostruisce mentre le proteste si concentrano sulle immediatezze (una sorta di social delle urgenze, senza una visione complessiva).

Traù // Continuiamo a sud / lungo le vertebre di questo paese / portati dall’auto come da un furore / che poco a poco iniziamo a sposare / accettando l’afa in dote e la fronte da febbre del cielo / a mezzodì si estende a largo e stende il sudore sulla strada / verso Traù di spiagge e navi / di fortezze di pietra e chiese di pietra e vuoti di pietra. // La carreggiata è lunga e monocorde e ai lati ha venditori / solitari di ogni cosa che viene dalle capre / regolari come pietre militari e a destarli / a volte si attardano i turisti / svirgolando dall’asfalto ed arrestando di sbieco / ad ogni ora e così noi / ci siamo fermati contrattando / una moneta col nome di animale / riprendendo poi la via fieri di un tocco / di formaggio a pasta molle con la muffa.

Il furore, non solo turistico ma contemporaneamente etico, di cui parla Schiavoni è il tema necessario per affrontare le cose, tornare a una umanità che partendo da noi stessi porti a nuove dimensioni, meno globali perché è inevitabilmente nella globalità che ci si ritrova soli. Affrontare il viaggio, caricarsi sulle spalle la fatica senza l’eterna attesa che qualcosa di esterno accada. Un’idea sociale che invece di proteggere i più fragili ovatta intere generazioni in un assistenzialismo miope non può che creare incertezza. A questa ci dobbiamo negare per potere ripartire nel nostro viaggio, per potere anche come generazione essere protagonista del nostro destino. Non possiamo aspettare più altro tempo, se non cambieranno adesso le cose probabilmente non cambieranno più. E dipende da noi.

 

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