Recensione al volume La Nazione dei nazionalisti di Giuseppe Parlato a cura di Luca Siniscalco, apparsa su Informazione Filosofica. Rivista Quadrimestrale a cura dell’Istituto Lombardo per gli Sudi Filosofici e Giuridici, n.3, Aprile 2021, Ordine e Caos.
La Nazione dei nazionalisti. Liberalismo, conservatorismo, fascismo di Giuseppe Parlato, Fallone Editore, Taranto 2020, pp. 216, € 22,00
Come si declinò, all’interno dei nazionalismi italiani, il concetto di Nazione? A rispondere a tale quesito è esplicitamente rivolta una recente pubblicazione dello storico Giuseppe Parlato. Professore di Storia contemporanea presso l’Università degli studi internazionali di Roma e presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo de Felice, Parlato si è a lungo occupato di storia italiana ottocentesca e novecentesca, con particolare attenzione per le dottrine politiche e la politologia.
Sulla scorta di tale specializzazione, Parlato propone nel saggio in questione una disamina attenta e riccamente documentata del movimento culturale nazionalista in Italia, rilevando come la sua proiezione politica, l’Associazione nazionalista italiana, “nonostante le diverse scissioni, ebbe un ruolo tutt’altro che marginale in occasione dei due interventismi, quello del 1911, in occasione della guerra contro l’Impero Ottomano, e nel 1914-1915, alla vigilia dell’ingresso italiano nella Grande Guerra” (p. III).
Non vi fu, d’altronde, un solo nazionalismo, piuttosto, come indica il titolo stesso del saggio, diversi nazionalismi, spesso sovrapponibili ma non raramente in contrasto fra loro. Un banco di prova per determinare sul piano della filosofia politica e della politologia le peculiarità di tali orientamenti è proprio il rapporto – ancora una volta, e culturale e politico – con altri modelli politici novecenteschi, in primo luogo il liberalismo e il fascismo. Parlato mostra cioè come sia proprio il complesso e talvolta contraddittorio rapporto intrattenuto dagli intellettuali e politici nazionalisti con il liberalismo e il fascismo a rivelare le diverse accezioni con cui il concetto di Nazione è stato inteso, sviluppato e comunicato all’interno dell’Italia del primo Novecento. Secondo Parlato, sarebbe infatti possibile distinguere un nazionalismo democratico (di origine liberalerisorgimentale), conservatore e antisocialista, da un lato, da uno moderno-autoritario, imperialista, socialista-corporativista (ma non sindacalista-marxista), dall’altro, precursore quest’ultimo del patriottismo mussoliniano.
Nell’alveo del secondo si dovrebbe annoverare, fra gli altri, il “socialismo della nazione” di Enrico Corradini, che «tendeva a coinvolgere sia quei ceti borghesi che erano estranei all’ambito censo culturale del mondo liberale, sia frange di sindacalismo “produttivistico” in grado di superare/rifiutare la lotta di classe in nome dell’interesse nazionale» (p. VII).
Lo schematismo binario sopra citato viene declinato da Parlato in forma pluralistica, rivelando ulteriori segmentazioni e differenziazioni – numerose legate anche a radicamenti geografici e regionali, così come alla scansione temporale, approfondita soprattutto nel quarto capitolo –, nonché approfondendo la biografia e l’opera di alcuni dei nazionalisti più rilevanti, fra cui non possiamo non citare Enrico Corradini, Alfredo Rocco, Pasquale Turiello, Luigi Federzoni, Carlo Delcroix e Vittorio Cian. A emergere è un quadro rizomatico e plurale, in cui si riconoscono slittamenti di prospettiva persino su un tema identitario e divisivo come quello del rapporto con gli Imperi centrali.
Al contempo, le differenze non erano prive di un’unità di fondo, che rende la nozione di “nazionalismo” politologicamente incisiva ed efficace. Tale “minimo comune denominatore” sarebbe da ritrovarsi, secondo Parlato, in tre elementi fondamentali, comuni a tutti gli orientamenti presi in considerazione: la volontà di estendere l’idea liberale ottocentesca di nazione; l’importanza attribuita alla costruzione pedagogica della coscienza nazionale; il primato del politico sull’economia e sul diritto. Tutti elementi che, per seguire la polarità del presente fascicolo di Informazione Filosofica, rivendicano la centralità dell’Ordine sul Caos, andando a identificare la prassi di una “buona politica” proprio sulla difesa dell’ordine nazionale rispetto ai rischi di sfaldamento e disgregazione (politica, sociale, morale).
Centrali nella fase genealogica del fascismo mussoliniano e nella sua affermazione, soprattutto su un piano di politica estera e di diritto (è a Rocco che si deve l’impianto della legislazione del regime attraverso il celebre Codice), i nazionalisti persero progressivamente centralità nelle gerarchie dello Stato fascista.
«Tra il 1935 e il 1940 i federali del Pnf furono scelti sempre più tra i sindacalisti e sempre meno tra gli ex nazionalisti, col risultato che questi ultimi si ritrovarono abbastanza emarginati. […] mentre i nazionalisti rappresentavano la gioventù che emergeva dalla Prima guerra mondiale, la sinistra fascista sembrava rappresentare l’avvenire dopo la guerra d’Etiopia; la nazione veniva declinata diversamente, con uno spazio del tutto nuovo al popolo, non quello educato alla nazione ma quello educato alla rivoluzione sociale» (p. XI).
Insomma, i nazionalisti «rimasero allineati finché lo Stato impose disciplina; molte loro prospettive coincidevano con quelle del regime: la politica estera espansionistica e revisionista rispetto a Versailles, l’autoritarismo e la fine delle libertà democratiche, il corporativismo, l’adesione ai valori tradizionali cattolici e naturalmente il Concordato con la Chiesa. Su altre si trovarono in forte disaccordo: oltre alle “derive” di sinistra del fascismo, soprattutto dal punto di vista sociale e sindacale, vi era il mito del duce […]. Anche il ruolo del partito […] per i nazionalisti era eccessivo. Inoltre, vi era il problema della cultura. Il gentilianesimo, lo Stato etico, il pedagogismo giacobino del fascismo erano del tutto estranei al nazionalismo» (p. 109).
Il saggio di Parlato ricostruisce con efficacia questo rapporto chiaroscurale, mostrando come tale eredità abbia influenzato in profondità la storia politica italiana, riverberandosi anche sulla fisionomia della Destra politica del Secondo dopoguerra.