Su in-certi confini una splendida nota di lettura al volume Dal tempo qui raccolto, di Antonio Prete e Carla Saracino, firmata da Mauro Germani.
Dal tempo qui raccolto (Fallone editore, 2024) comprende una conversazione in due tempi tra Antonio Prete e Carla Saracino: il primo di essi risale al 2006, in occasione della tesi di laurea di Carla Saracino sull’ermeneutica e il pensiero poetante negli scritti di Antonio Prete; il secondo, più ampio e articolato, riguarda il periodo tra il 2022 e il 2023. Ciò che colpisce subito, durante la lettura, è da un lato l’intelligenza delle questioni poste dalla Saracino, dall’altro la disponibilità al dialogo di Antonio Prete, davvero mirabile non solo per chiarezza e profondità di riflessione, ma anche per umanità e apertura al confronto. Ecco allora che i due momenti, pur distanti nel tempo, trovano di fatto una loro unità, in quanto ciò che li accomuna è – come scrive Carla Saracino nella Premessa – «un corrispondersi nell’ascolto», la consapevolezza «di un viaggio ermeneutico che non sosta sulla pagina passivamente», e la testimonianza di «due voci che sanno di stare nella fragilità del linguaggio, nella sua preziosa vulnerabilità».
Nel «primo tempo» viene sottolineata da Antonio Prete la natura dialogica di ogni ermeneutica, fondata sul domandare e sulla reciprocità, tanto che il testo diviene «vivente e interrogante». Da qui l’importanza del dialogo tra poesia e filosofia, nucleo del pensiero poetante di cui Prete si è fatto interprete, a partire dai suoi studi su Leopardi. Di particolare interesse risultano poi le riflessioni sugli intrecci tra critica e narrazione, al di là di ogni rigida classificazione in categorie, perché in realtà ciò che è decisiva e centrale è l’esperienza della scrittura nelle sue intrinseche possibilità.
Il «secondo tempo» della conversazione unisce riflessioni e ricordi, considerazioni su temi fondanti della scrittura e notazioni biografiche, in una dimensione che non risulta mai puramente teorica, ma legata all’esistenza. Così mentori e amici vengono nominati da Antonio Prete con stima e gratitudine: Mario Apollonio, con il suo insegnamento secondo cui «il testo diventa vita in colui che legge», poi, tra gli altri, Edmond Jabès, Mario Luzi, Yves Bonnefoy, frequentati assiduamente a partire dai primi anni Ottanta, all’insegna dello scambio culturale e del dialogo fecondo «con i modi e le forme e le invenzioni che animano le loro opere».
Di grande rilievo e spessore sono inoltre le osservazioni sul legame del silenzio con la lingua: «un silenzio che è movimento verso il dire, attesa della parola», presenza di un «tempo altro», che è ritmo proprio della poesia, «vento segreto che trascorre nella frase poetica».
Impossibile qui riassumere tutte le considerazioni presenti nel libro, ma vale la pena evidenziarne ancora alcune di notevole importanza: la poesia intesa come «un pensare contro l’oblio», secondo l’intuizione di Jabès, oppure come «sfida sul crinale tra presenza e assenza, tra verità e finzione, tra visibile e invisibile». Non mancano, poi, i riferimenti di Prete alla sue raccolte poetiche, nelle quali è particolarmente sentito il tema della soglia del visibile e del dicibile, in una tensione che coinvolge la parola nel suo scarto «tra il dolore e la lingua, tra il respiro della terra e il dire dell’uomo». Come afferma Carla Saracino, il lavoro poetico di Antonio Prete pare contraddistinto da «un doppio passo», che è «vocazione interrogante» e, al tempo stesso, volontà di «non tradire né scoprire»: è quanto emerge soprattutto da Se la pietra fiorisce, che rimanda al verso di Celan «È tempo che la pietra accetti di fiorire» e rappresenta «l’ostinazione della vita, che rompe l’aridità, sfiora l’impossibile, si afferma là dove è negata».
La lettura di questa conversazione risulta illuminante per conoscere e approfondire l’opera complessiva di Antonio Prete, docente universitario, critico, narratore, poeta e traduttore; un’opera complessa e variegata, che si pone «nel tragico mostrando l’al di là del tragico», interrogando «l’inferno di un’epoca con lo sguardo verso uno spicchio di cielo» e con« il compito di chi si trova ad aver rapporto con la scrittura e con le sue forme».
Dal tempo qui raccolto è un libro raro, da custodire come un dono prezioso, uno scrigno di domande, di temi e di riflessioni, frutto non solo di un’incessante ricerca intorno alla scrittura, al pensiero e all’esistenza, ma anche di una testimonianza intellettuale che si configura come ascolto, accoglienza e incontro.
Mauro Germani