Su Via Lepsius una nota critica di Antonio Devicienti su L’aldilà del mare di Angelo Airò Farulla.
La scrittura e l’abnorme tempo: breve nota all’ “Aldilà del mare” di Angelo Airò Farulla
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
L’aldilà del mare (Fallone Editore, Taranto 2023) di Angelo Airò Farulla è, nello stesso tempo, un libro conformato ad anello e un’unica, vasta allegoria.
L’invenzione narrativa vuole infatti che «un’estate di tanti anni fa, / nella seconda metà degli anni venti del XXI secolo dopo Cristo» (p. 19) sia avvenuta una catastrofe di proporzioni tali da distruggere il mondo come lo conosciamo, ma, anche, da fargli ricominciare da capo il suo ciclo di era in era – – – in una sorta di posizione da narratore onnisciente l’io (che di tanto in tanto si manifesta accennando a una sua azione o a un suo pensiero), pur ponendosi cronologicamente in un tempo imprecisato dopo la catastrofe, è in grado di scrivere di una tale ciclicità, quasi coincidesse con «il Signore, o il Suo esatto contrario» (p. 70) il quale «riavvolse il nastro della Storia della Salvezza / – che divenne il Suo secondo errore riconosciuto / dopo il Diluvio – ne cancellò l’ipotesi per i tempi a venire / e il ciclo ricominciò» (ibidem).
L’allegoria consiste infatti nella narrazione di una catastrofe ambientale che investe in primo luogo il Mediterraneo iniziata probabilmente da una nave color limpido elettro «un traghetto veloce dotato di un sistema propulsivo a idrogetto, che aspirava dal mare e rimetteva al mare quel che era del mare, / e collegava l’isola al continente» (p. 20); da diversi elementi presenti nel testo si potrebbe pensare all’isola d’Elba e al braccio di mare che la separa da Piombino, ma direi che l’elemento fondamentale di questo lavoro sia, appunto, l’allegoria relativa alla tecnologia umana capace di distruggere l’ambiente in maniera irreversibile, anche se l’intervento finale di una sorta di deus ex machina (buono o malvagio resta questione aperta) rimette in moto il ciclo delle ere che hanno portato alla vita sulla terra, ma, lo si noti, viene cancellata anche soltanto l’ipotesi che una storia della salvezza (per l’umanità) abbia di nuovo luogo: Airò Farulla sembra così negare in modo radicale che la storia umana sia un bene per il pianeta.
Ma attenzione: non si commetta il banale errore di considerare L’aldilà del mare quale un testo da inserire in una sorta di filone “ambientalista” o “catastrofista” in qualche modo in accordo con gli allarmi relativi alla crisi climatica in atto dal momento che questo testo va considerato anche dal punto stilistico, strutturale e concettuale-filosofico; ecco allora che l’allegoria della catastrofe ambientale è anche allegoria della crisi di un’intera civiltà, della sua incapacità (e mancanza di volontà nel farlo) di comprendere, dal punto di vista culturale e politico, il proprio devastante impatto su sé stessa in quanto comunità e sull’ambiente che la ospita. L’aldilà del mare offre uno sguardo al contempo lucido e pessimista sul mondo modificato dall’azione umana la quale pure, all’interno dei tempi geologici calcolabili in diversi milioni di anni, occupa una manciata di millenni a dir poco irrisoria.
Strutturalmente il testo è un lungo racconto della catastrofe organizzato in sequenze di testo che talvolta possono somigliare a versi liberi con gli a capo che interrompono visivamente l’andamento tendenzialmente prosastico del testo stesso, stilisticamente Airò Farulla ha cercato di creare un monstruum linguistico che, privato di abbellimenti lessicali e di ogni deriva lirica, intuisco anche sulla scia di molta musica contemporanea, addensa lunghi elenchi e ripetizioni, introduce dissonanze e una nomenclatura scientifica che, di fatto, rendono con efficacia la vicenda superando schemi narrativi e rappresentativi tradizionali: il mare che si trasforma in un qualcosa che soffoca e annulla la vita, compresa quella umana.
Proprio la ripetitività martellante di alcuni passaggi del testo (l’andirivieni del traghetto color limpido elettro, le ustioni che i bagnanti subiscono nel mare, il tentativo di capire che cosa sta succedendo, quindi i lunghi elenchi dedicati agli organismi viventi di ere geologiche lontanissime) sottrae il lavoro dall’essere una sorta di racconto distopico rendendolo, invece, un poema che, negli addensamenti dei propri nuclei tematici, conosce una sorta d’immobilità dell’azione che perfettamente corrisponde all’immobilità cui il mondo perviene fino a morire – ma non solo.
Infatti l’ipotesi di partenza è che «[…] ci fu una qualche trasmissione dalla superficie dell’acqua sino al fondale, e una commutazione delle correnti di superficie sino al profondo / e insomma questa propulsione a idrogetto, / […] / eccitato il fluido da cima a fondo, / scavava anche il fondo del mare, / […] / finì con lo scoprire qualcosa laggiù che forse era meglio non venisse scoperta, / […] / e andò a svellere dal fondo del tempo e del mare delle creature gigantesche che dormivano il loro sonno millenario in fondo al mare, / […] / e si staccarono dal fondo e salirono, dispiegando l’enormità dei loro ombrelli gelatinosi, come paracaduti funzionanti al rovescio, / e liberarono i loro lunghissimi filamenti nell’acqua / […] / ed ecco allora che queste creature ancora mezze addormentate cominciarono a risalire verso la superficie e a spezzarsi, a morire» (pp. 28 e 29 passim). Trattandosi di creature medusoidi prive di pigmenti esse sono invisibili, ma i frammenti dei loro corpi toccano quelli dei bagnanti ustionandoli, vanno a riempire completamente il mare e a intasare le condutture.
Movendo da una simile fantasia Airò Farulla scrive, in realtà, del tempo, della sua dimensione abnorme rispetto alla percezione umana, si abbandona, attraverso una sorta di catalogo o di elenco, all’ammirata considerazione di tempi geologici appena intuibili tramite lo studio dei fossili e delle stratificazioni rocciose, in particolare la fauna di Ediacara, così che L’aldilà del mare si propone come un punto di giuntura tra le risultanze scientifiche (non tutte certe) relative alla scoperta e allo studio dei fossili e degli ambienti di cui testimoniano e la loro capacità di attivare l’immaginazione di uno scrittore.
Un testo ibrido come questo, partecipe di prosa e di poesia, di fantasie distopiche e di sperimentazione espressiva e linguistica affronta l’arduo tema del rapporto tra la civiltà umana e i tempi calcolabili in diversi milioni di anni che l’hanno preceduta, propone una scrittura che, quasi completamente deprivata di ogni riferimento soggettivo, prende in considerazione tempi ed eventi che, probabilmente, interrogano la nostra civiltà giunta allo stato attuale; si consideri, per esempio, un passaggio del testo in cui si riflette intorno al cosiddetto libero arbitrio, un altro dedicato alla teoria della selezione naturale e un altro ancora che prende in considerazione il sorgere della tecnica predatoria affinché gli organismi potessero nutrirsi e sopravvivere: L’aldilà del mare rivela cioè dei portati filosofici che, interrogando noi lettori, la civiltà cui apparteniamo e anche la nostra biologia e fisiologia, interrogano con radicalità il nostro stesso esistere e agire.
«come nei tempi antichissimi, / come quando gli etruschi s’ingraziavan le divinità del fato, e leggevano fulmini e fegati, / ed eseguivano la disciplina per non incorrere in errori / irrimediabili // (quegli etruschi che, prima di asorbire gli influssi del mondo classico, avean creduto in divinità senza determinazione alcuna, imprecise nel numero, nelle qualità, nel sesso, nelle apparenze) // e si suonò il Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen, che era stato composto nel campo di concentramento di Görlitz, e si eseguì sul ponte della nave di color limpido elettro, / al calar del sole, / e mentre si ascoltava quella musica, reticolata come certe ustioni sulla pelle dei presenti, si scrutava il mare, sperando di vedervi un segno» (p. 44).