Nota di lettura a “Quaderno croato” di Vanni Schiavoni
“Chi sono i luoghi?” è la domanda che Vanni Schiavoni sembra essersi posto all’inizio della scrittura di Quaderno croato (Fallone Editore 2020) e che coincide con l’interrogativo con il quale il lettore si congeda da questa plaquette di dodici testi, ognuno relativo a uno spazio della Croazia, così come l’autore la esperisce. Ciò che risulta, infatti, da subito chiaro è la non possibilità di discernimento tra il luogo di per sé e il luogo in relazione all’occhio di chi lo osserva e lo attraversa, come se ogni terra fosse destinata a divenire, in qualche modo e sempre, la nostra terra, non appena con lei entriamo in interazione, in qualità di singoli e di comunità. Il viaggio di Schiavoni, che inizia e si conclude all’interno della dimensione personale, interseca però il viaggio degli altri, quelli venuti prima e quelli che verranno dopo, aprendo l’opera al tema della memoria e della storia e alla progettualità futura di ciò che sarà in seguito all’essere stati. È, dunque, un moto il ritmo che scandisce le pagine di Quaderno croato, una peregrinazione intorno al tempo e alle sue dinamiche e, contestualmente, una stasi, una riflessione continua su ciò che sta accadendo; il titolo stesso dell’opera, non a caso, rimanda alla sopraggiunta necessità di fissare su di un taccuino sensazioni e osservazioni non previste, come Schiavoni racconta anche nell’intervista rilasciata a Gabriel Del Sarto per «Nuova Ciminiera»; il dualismo immediatezza/labor limae si pone in posizione chiastica a quello poesia/vita e traccia così un percorso definito nella direzione ma non definibile del traguardo, poiché Schiavoni, come i veri viaggiatori, non pone limiti preventivi a ciò che può succedere e, di conseguenza, alla parola, a cui spetta il compito di ri-dire e cioè di testimoniare. Nonostante la cura del verso riesca a creare un clima disteso in chi decide di seguire l’autore, è un senso di stupore inquieto a connotare il pathos di Quaderno croato, lo stupore di chi continua a interrogarsi pur sapendo che gli è dato solo di potere abbozzare risposte, senza che mai nessuna abbia la capacità di essere quella risolutiva. La scrittura poetica diventa per Schiavoni la mappa sulla quale disegnare la propria rotta e, allo stesso tempo, l’eco universale pronta a risuonare in chi decide di mettersi in cammino; siamo uno e tutti, siamo nell’oggi e nel domani. Siamo stati ieri, saremo qualcuno o nessuno. Non importa mettere un’etichetta, determinare una meta. Ciò che conta, e Schiavoni riesce a dirlo con indubbia bravura, è sentirsi parte di qualcosa, anche nella consapevolezza di essere soli, perché uscire dal solipsismo dell’io non è aprirsi a un ottimismo fantastico, quanto piuttosto tornare dentro il ciclo dell’universo fatto di tutti i tempi, di tutti gli spazi.
Laghi di Plitvice
Il primo giorno precipita sempre nello stesso punto
quella rapida che arriva all’incontro
del fiume bianco col fiume nero
e più ci pensiamo pronti e gli occhi scaltri
più gli aggettivi non bastano allo stupore:
il verde spinge al delirio le pupille
le spinge dentro i torrenti lacrimanti accanto ai piedi
nell’oscurità acheropita degli antri in sequenza
e nelle spelonche verticali scolpite
come da una mano capace di tutto.
Pure da qui sarà passato Giuda
e se non proprio quello dalle labbra ardenti
un Giuda qualunque si sarà perso
in questo reticolato mistero del rimorso.
I laghi cascano nei laghi come fruste sui rami cedevoli
scorrono in altre acque e piovono così
eterni
perfettamente indenni.
Traù
Continuiamo a sud
lungo le vertebre di questo paese
portati dall’auto come da un furore
che poco a poco iniziamo a sposare
accettando l’afa in dote e la fronte di febbre del cielo
a mezzodì si estende a largo e stende il sudore sulla strada
verso Traù di spiagge e navi
di fortezze di pietra e chiese di pietra e vuoti di pietra.
La carreggiata è lunga e monocorde e ai lati ha venditori
solitari di ogni cosa che viene dalle capre
regolari come pietre miliari e a destarli
a volte si attardano i turisti
svirgolando dall’asfalto ed arrestando di sbieco
ad ogni ora e così noi
ci siamo fermati contrattando
una moneta col nome di animale
riprendendo poi la via fieri di un tocco
di formaggio a pasta molle con la muffa.
Split
Non spiega molto dei nodi marinari
l’avvicendarsi dei tramonti a largo di Split
quando il sole si piega all’orizzonte tenendosi per le dita
senza dare punti di decisione.
Tutto si specchia come in un contagio
a cominciare dal mio cognome
per finire col tuo profilo, nonostante sia spaesante
la sbilanciata conoscenza dei fatti.
Non c’è la violenza che speravo
o qualcosa che chiamiamo per abitudine straniero.
Eppure felici
ecco come ci crediamo: felici di netto
in questo plagio impreciso e continuo degli sguardi
capaci da qui di provare a richiamare l’umanità intera
all’issarsi di reti e della tradizione
che mi indichi di tanto e ogni volta è niente.
L’aria sul muro di cinta rifrange
i flutti di vita sul lato dei pianti.
Vanni Schiavoni è nato a Manduria nel 1977, vive a Bologna. Ha pubblicato le raccolte poetiche: Nocte (L’Autore Libri, 1996); Il balcone sospeso (Lisi, 1998); Di umido e di giorni (Lietocolle, 2004); Salentitudine (Lietocolle, 2006); Guscio di noce (2012); Quaderno croato (Fallone, 2020). Ha curato l’antologia poetica Rosso, tra erotismo e santità (Lietocolle, 2010). Ha inoltre pubblicato i romanzi: Come gli elefanti in Indonesia (LiberArs, 2001) e Mavi (Emersioni, 2019).