Giovedì 2 Novembre 2023 – Eliodoro di Mario Fresa su Il talento di Roma

Su Il talento di Roma Gisella Blanco intervista Mario Fresa.

MARIO FRESA E IL ROMANZO ELIODORO

fresa

Mario Fresa e il romanzo Eliodoro

di Gisella Blanco

Un romanzo fuori dai canoni, il primo di Mario Fresa, Eliodoro (Fallone Editore, 2022).

Una sequenza di eventi, a partire da un incidente stradale e da un tradimento amoroso, inscenati nel set quasi cinematografico di un lettino di psicoanalisi, in cui la stereotipata dicotomia tra sogno e realtà abbandona retorica e generalismi interpretativi per sondare un inconscio che appartiene a chiunque, o a nessuno (è lo stesso).

Fresa, già levigato autore in versi, sperimenta una prosa cadenzata, ipersemantica, densa di neologismi, univerbazioni, figure retoriche, parafrasi di riferimenti colti, continui e improvvisi cambiamenti di agenti e dicenti per lasciare nel lettore l’horror vacui di cui ha bisogno (il lettore stesso, e forse anche l’autore).

Un andamento divertente, tragicomico e ironico, rende il testo agile e svelto, eloquente: che sia necessario rinunciare alla verità per riappropriarsene con dignità, è d’altronde uno degli insegnamenti più feroci e necessari dell’epoca contemporanea.

-Come è avvenuto il passaggio – non definitivo e non assoluto, vista la presenza di versi all’interno del testo, dalla poesia alla prosa?

In ciascuna delle mie raccolte poetiche ho sempre inserito stralci e intermezzi in prosa, col proposito di plasmare una lingua indeterminata, dinamica e fluttuante; soprattutto poco denotativa e di natura apparentemente narrativa. Non parlerei, perciò, di un vero e proprio passaggio compiuto e definito, ma di una linea stilistica continua, entro la quale i due linguaggi – poesia e prosa – si sono rincorsi o alternati, fino a sovrapporsi e a confondersi.

-Come ha decostruito, logicamente e linguisticamente, l’irrealtà del libro?

Ogni libro poetico – in prosa o in versi – è un’espressione (e una celebrazione) dell’irrealtà; e un suo estremo potenziamento. E – per paradosso – l’irrealtà, o la controrealtà, così tipica dell’opera d’arte poetica, ha il potere di svelare, spesso, certi strani barbagli, o nuove tracce, o segmenti inconosciuti (e altrimenti inconoscibili, né immaginabili) della stessa cosiddetta realtà.

La scrittura d’arte diventa, allora, un antimondo che fa scoprire, per violazioni e urti, l’essenza più profonda del mondo stesso (o i rimossi fantasmi di esso, o i segnali taciuti dei nostri più indicibili pensieri, o gli stessi turbamenti inaccettati, e faticosamente filtrati o sotterrati, dalla diurna “buona” coscienza della nostra accomodante lingua quotidiana…).

L’irrealtà di Eliodoro vuole mostrarsi – nei suoi propositi – per inciampi e distrazioni comunicative, scegliendo di adottare i medesimi procedimenti linguistici (logici e alogici) del nostro misterioso Schatten; ed essa irrealtà – pronta a mischiare tragedia e commedia, presente e memoria, oggettività e fantasticheria, ecc. – agisce, infine, ribaltando il famoso assunto lacaniano secondo il quale l’inconscio è strutturato come un linguaggio. La sua risposta si spinge, dunque, in contrario motu, e ha lo scopo di articolare e di sviluppare il linguaggio… come l’inconscio.

-Che tipo di impatto si aspetta dai lettori, da un’opera con tali caratteristiche?

È un libro-fortezza (e, anche, un’opera di strategia e di difesa…) nel quale ho sparpagliato e distribuito moltissimi… dispositivi di sicurezza, da indovinare e da stanare: ad esempio, minuziose descrizioni di dipinti; o inserti da trattati psicanalitici; o evocazioni di poeti e di prosatori contemporanei italiani, spesso gioiosamente parodiati o dileggiati; e citazioni da libretti del teatro d’opera; eccetera. Sarei contento di trovare un lettore così perfidamente attento da scovare i tanti riferimenti culturali seminascosti nel testo.

-Quali autori di filosofia ha preso come muse per questo libro, e su quali parti del loro pensiero si è basato, per affinità o contrasto?

A parte i rimandi senecani e nicciani (il lettore detective rintraccerà, a un certo punto del romanzo, un omaggio all’aforisma 553 di Aurora), i modelli culturali dell’opera sono stati, più che filosofici sensu stricto, di origine letteraria, psichiatrica, psicanalitica, pittorica e soprattutto musicale: ho perciò disseminato il testo di non poche citazioni indirette (o a sorpresa interpolate) da d’Annunzio a Krafft-Ebing a Mozart a Jung, da Goya al Libro di Giona ad Ai Weiwei… Il punto di vista della scrittura è stato, insomma, di natura futuristicamente sintetico-accumulativa e parodicamente ricreativa; ha dunque agito, potrei dire, come la stessa mente del protagonista, che a quanto pare non riesce a liberarsi del peso, tragico e ironico, della sua grande, sconfinata memoria-archivio (ricorda quel meraviglioso incipit baudelairiano? «J’ai plus de souvenirs que si j’avais mille ans»…).

-In che relazione stanno, oggi, secondo lei, prosa e poesia?

Non mi piace pensare che la poesia possa, o debba essere ritenuta, semplicisticamente, l’opposto o il diretto contraltare della prosa. Vorrei sempre incontrare, invece, nelle mie letture, una scrittura anfibia, impura, indefinibile. Potrei anche aggiungere: creativamente mostruosa. Perché ciò che mi interessa è la contaminazione giocosamente erudita dei materiali espressivi, il garbuglio enigmistico delle forme, la ricombinazione e la fusione delle direzioni; e, quindi, il controcanto, la μίμησις burlesca e il depistaggio (nelle idee, nei generi, nelle soluzioni formali…). I miei scrittori contemporanei favoriti, Pascal Quignard e Michel Butor, hanno spesso creato opere capaci di sfuggire alle classificazioni letterarie convenzionali. Non vedo esempi simili in Italia, oggi. I poeti e i prosatori vivono in mondi paralleli e lontani denunciando, così, nelle loro prospettive e capacità, un senso di impotenza o di autolimitazione dallo sguardo… polifemico. A quanto sembra non vogliono, o non sanno, superare o addirittura infrangere le paratie che dividono la poesia dalla prosa (e la critica dalla scrittura d’arte, o la prosa specialistica dalla ricerca multidisciplinare). In questo senso, sarebbe utile prendere, come modello, uno scrittore/saggista come Guy Scarpetta.

Il problema è che le nostre università tendono a creare ultraspecializzati ed esperti della microstoria o dell’infinitesimale. Certi studiosi-scrittori possono, ad esempio, discettare per mezz’ora della storia e delle caratteristiche estetiche di un arco catalano situato in uno sperduto paesino della nostra Penisola, ma ignorano del tutto chi abbia composto il Pierrot Lunaire o chi sia l’autore dello Spaccio de la bestia trionfante (o, più semplicemente, quale sia la differenza tra una litote e un eufemismo).

-Ci svela i suoi progetti in cantiere?

Ho qualche traduzione da completare e, in mente, iniziano a germogliare alcuni saggi che non so se scriverò…

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