Giovedì 6 Luglio 2023 – Eliodoro di Mario Fresa su Compitu Re Vivi

Su Compitu Re Vivi una splendida recensione di Sebastiano Aglieco a Eliodoro di Mario Fresa.

Mario Fresa, ELIODORO, (romanzo) Fallone Editore 2022

Un’ipotesi abbastanza recente afferma che gli uomini della preistoria, dipingendo animali sulle profonde pareti delle caverne, non rappresentavano le prede osservate nella caccia, ma quelle che apparivano loro in sogno.
La cosa può sembrare sconcertante, considerando il fatto che l’arte del paleolitico superiore è totalmente realistica, capace di riprodurre esattamente forme e fattezze. Tuttavia questi animali, pur nella loro totale fisicità, non sono i corpi degli animali, ma i loro spiriti. Sono gli stessi animali attestati dal racconto degli ultimi sciamani quando immaginavano di partire verso l’oltremondo, accompagnati da totem, guide, incarnazioni del reale.
Il ragionamento induce a riflettere su che cosa sia l’arte: rappresentazione di una rappresentazione, forma da forma. La riflessione, inoltre, mi serve ad introdurre il primo romanzo di Mario Fresa, “commedia buffa, che molto concede al grottesco, allorché gli abissi psichici sembrano avere evidenza di realtà e la realtà medesima sembra sciogliersi nella bruma del probabile”, (dal risvolto di copertina). Ma il romanzo è anche rappresentazione circense, scombinata festa, gioco a nascondino, barocco musicale, luogo del possibile e rito cerimoniale del lutto. Realtà e fantasia in esso si fondono; che è dichiarazione scontata, da approfondire e da chiarire.
Qual è, infatti, il fondamento di ogni arte? Senza ombra di dubbio il sogno: il luogo, appunto, dove realtà e fantasia organizzano i loro ambigui matrimoni.
Il racconto di Eliodoro, per conseguenza, è rivolto a uno psicanalista e la realtà descritta è quella deformata dal sogno. Più complicato affermare il contrario, e cioè che il sogno è il meccanismo che serve la realtà per darne, in qualche modo, un senso. Il sogno deforma, ha le sue regole, le sue non regole. Le sue operazioni non sono catalogabili; non procede in linea retta. Mischia i tempi, i luoghi, i volti, le emozioni, secondo leggi misteriose proprie. E’ dunque meccanismo autonomo di creazione di immagini, che forse compensa le mancanze della realtà ma non è interessato a sostituirsi ad essa. I sogni sognati, infatti, abitano una loro sfera psichica, e, piuttosto sono alla base dei “ragionamenti” dell’arte.
Il sogno non serve la realtà, al massimo ne rende palesi le ipocrisie, le insoddisfazioni esistenziali.
Pensiamo all’inizio di questo romanzo: un incidente automobilistico; un tradimento. Il dopo è il racconto sul lettino dello psicanalista, retrocedendo, classicamente, verso l’infanzia, i suoi traumi. Ma è proprio questa regressione a porsi come occasione di inganno della narrazione. Lo psicanalista è cosciente del fatto che il paziente possa infarcire il suo racconto di narrazioni posticce, immaginate o sognate una seconda volta. Il racconto del paziente, in questo caso, coincide col racconto del narratore, così il racconto del trauma si fa meccanismo narrativo del romanzo.
Evidente contraddizione, tuttavia, perché il sogno non racconta rispettando le regole della successione temporale. Il sogno, infatti, procede per sbalzi e menzogne e ciò che noi definiamo “narrazione” è tradizionalmente racconto dei fatti in una ordinata linea del tempo. Eliodoro, dunque, non narra, proprio perché l’accadere delle sue vicende non abita la geografia e la Storia ma una realtà tutta interiore, poetica.
E’ lo stesso Mario Fresa a suggerire al lettore un possibile procedimento di lettura: “Eliodoro è un romanzo-gioco di pannelli e di schegge movibili che possono essere letti in successione o in modo più rapsodico, per esempio aiutandosi con l’aiuto di un dado…”.
Eliodoro è manuale in cui si riverbera la personale follia del nostro io: “Questo libro è stato scritto soltanto per lei. Non lo dia ad altre persone senza il suo diretto controllo, anche se i sintomi della malattia sono uguali ai suoi”: (Ancora Mario Fresa).
Eliodoro è dunque un vademecum della Fantasia; il suo sghembo vocabolario, i suoi trucchi, i suoi inganni. Parlo di trucchi e di inganni in quanto è proprio la Fantasia a compensare i vuoti della dimenticanza, le voragini in cui è affondato l’io del sogno, costretto a mentire a se stesso e al suo psicanalista. “Bugiardino”, chiama queste “Informazioni e note per il paziente-lettore” Mario Fresa.
L’inganno cosciente della ragione va a braccetto con l’inganno dell’irrazionale corrompersi delle cose, nel tentativo di instaurare, o semplicemente di riconoscere, un mondo parallelo che legge i fatti della realtà secondo una logica sghemba, senza altro chiedersi di sé, delle sue ragioni.
Chiarite queste premesse, allora, dal punto di vista formale il romanzo di Mario Fresa può permettersi la massima libertà possibile e la massima capacità destruens possibile. E’ abitato da spaventose, ridicole o divertentissime metamorfosi, a seconda dei punti di vista. Si legga: “Incontrò subito, proprio sull’angolo della strada principale, due serpi (o Legionari magri, cacciati dall’esercito degli angioli del Passato) che si mostrarono solennemente cerimoniose. Il corpo lucido come una membrana da Thé, erano entrambe munite di una severa cravatta d’Ambasciata; muovevano, inoltre, a mulinello di giostra, un mantello da Radamès in ferie (le avete dunque riconosciute?…) Sorridevano, le due eleganti maleserpi, con certe lucide, fiammanti linguette di metallo che facevano avvertire, come in un sogno, brevissime frasi che accennavano, sembra, a un prossimo contratto d’acqua fredda, risolutiva, paradisiaca quasi”, p. 42.
E’ solo un breve esempio di questa straordinaria metamorfosi delle immagini in presa diretta, un meccanismo non certo estraneo a tutto il novecento, a partire dalle Illuminazioni di Rimbaud, libro al quale prepotentemente mi riporta la lettura di questo Eliodoro. La funzione dello psicanalista, del resto, a me non sembra quella di giungere al nocciolo della questione, alla rimozione, o, quantomeno, a una forma di compensazione del dramma, quanto quella di permetterne una rappresentazione nelle più svariate forme possibili, sottraendolo alla sfera del reale in cui effettivamente è accaduto e attribuendogli il ruolo di Creatore.
Il poeta è, dunque, colui che, attraverso un tramite, è stato sollevato dai doveri della realtà consegnandola alla sfera di una sublimazione assoluta, fine a se stessa, profondamente intrisa di tragedia.
“Forse è così che funzionano i sentimenti. Rigettiamo ogni silenzio in una vasca di infinite ruminazioni che si muovono, respirando come nervosi mendicanti, nelle profonde latitudini dell’abomaso, mentre nessuno si decide a intervenire: né la piccola sorella benedetta da tutti gli organi (come sentiva, come la vedeva, come toccava!), né Ananke dai capelli furenti che mette fine alla storia, a ogni storia, rapprendendo i corpi amabili dei piccoli e dei grandi in un tranquillo fiume ghiacciato – e non possiamo più tradirci; togliamo dagli occhi questi liquidi cerchietti di fanga, questa impronta di sangue che non potrà restituirci che insanità, disprezzo, facili amori stanchi, inaccettabili e assurdi fin da loro apparire…”, p. 47/48.
Catturati dal tono grottesco e “gioioso” di questa narrazione da circo, non ci sfuggano i rari momenti in cui la voce del narratore si concede in ragionamenti, amari punti di vista. Queste affermazioni ci appaiono alla luce di un sottotesto percussivo, solo a tratti emergente, come i picchi del sogno sopra la superficie increspata dell’inconscio, mentre sotto pullula il ribollente calderone delle immagini storpiate o accoppiate, avvicinate o distanziate.
Ciò che avviene in Eliodoro è il rigurgito poetico di un vaso di pandora colmo fino all’orlo ed è forse questa la condizione necessaria alla poesia: quando l’accumulo ha bisogno di trovare forma nelle parole. Trovare una nuova casa.
Che Eliodoro sia operazione poetica, è evidente per chi conosce la poesia di Fresa. Gli ultimi capitoli del libro si situano esattamente nella forma del verso praticato dal poeta nei suoi libri precedenti, così l’andare a capo di questa prosa molto rivela il gioco di velamento/svelamento psichico della sua poesia: racconto a un’entità mediatrice, in questo caso lo psicanalista, ma in ogni caso al lettore, tout-court. Il non andare a capo della prosa a me sembra l’orlo di questo vaso da cui trabocca il ricordo travestito di una verità che gioca con la menzogna: il gioco dello svelarsi e velarsi nel teatrino della vita..
Il discorso, insomma, potrebbe concentrarsi sul perché Eliodoro non sia d’accordo con le affermazioni di Leibniz: “E’ così che le idee e le verità sono innate / in noi: come inclinazioni o disposizioni / o consuetudini o virtualità del tutto naturali / e non già come azioni; benché tali virtualità / siano sempre accompagnate da qualche / azione corrispondente, che spesso si rivela insensibile…”. p. 139.

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