Su Resistenza Umana un’intervista di Eugenia Massari a Filippo Chiello.
“Dove gli occhi si fermano”, un romanzo distopico del 2024.
Intervista con l’autore
di EUGENIA MASSARI
Ascolta Dove gli occhi si fermano
“Gli occhi si apriranno su nuovi orizzonti di senso o interverranno forme di dissonanza cognitiva a bloccare il sorgere di insidiosi dubbi?“. Ed ecco che, en parlant sugli altri aspetti del suo libro, Filippo Chiello me ne disvela il titolo: Dove gli occhi si fermano, edito questo ottobre dalla Fallone Editore. In un articolo precedente, avevo accennato ai pochi, pochissimi esperimenti letterari di questo tipo, partoriti dagli ultimi anni, nonostante… come dire? La materia prima abbondante?
Scenari alternativi e distopie sul presente.
Adesso raccolgo, direttamente dall’autore, alcune osservazioni sul genere distopico e sulla sua scelta.
E.M. Grazie Filippo, per aver accettato l’intervista. Come prima cosa, ovviamente, ti chiederei: di cosa parla il tuo libro e a cosa si ispira? Di primo acchito – il libro è appena uscito… – sembrerebbe centrale la biopolitica, applicata con la realtà virtuale -. Sulla scia del soma di Huxley…
F.C. Il mio romanzo segue le vicende di due uomini, le cui storie scorrono fino a un certo punto, parallele e che si trovano a vivere in una società nella quale il virtuale tende a soppiantare il reale e i cittadini sono spesso costretti a rinunciare alla libertà, in cambio di una condizione di sicurezza e protezione sempre più elevate. La tecnologia, tuttavia, viene anche utilizzata per potenziare l’area dell’intrattenimento, sempre più anestetizzante. A questo proposito, il sociologo statunitense Neil Postman sottolineava come il cosiddetto infotainment portasse a una perdita progressiva della capacità umana di giudizio e precipitasse la democrazia in uno stato di crisi.
Dove gli occhi si fermano
Orlando e Ulisse si trovano sui lati opposti della barricata. Il primo, un ex professore universitario ormai ai margini della società, è esistenzialmente ribelle e politicamente scorretto. Il secondo, giovane e idealista, è disposto ad accettare qualsiasi condizione pur di realizzare la propria felicità individuale. In un percorso doloroso di progressiva autoconsapevolezza, capirà a sue spese il grande inganno. Sullo sfondo di una società che stritola l’essere umano con dinamiche sempre più oppressive fino a tentare di valicare l’ultima barriera, il corpo, i due personaggi si dibattono in dilemmi esistenziali che ne rivelano la profonda umanità. Si aggrappano a ciò che di umano resiste – l’amore, il sesso, la solidarietà – per ritrovare quell’orizzonte di senso che hanno smarrito. Proprio per la pregnante presenza di questi ultimi elementi, non considero il mio romanzo una fredda costruzione volta a dimostrare l’esistenza di un teorema politico e sociale. Il mio romanzo è in primis una storia da cui emerge la fragile, folle, disperata umanità di coloro che si trovano all’improvviso oppressi dalla perdita dei diritti fondamentali.
E.M. Questa deriva che descrivi, è già realtà o è solo un’esasperazione?
F.C. I romanzi distopici o le cui vicende si stagliano su sfondi distopici, nascono sempre da un’osservazione della realtà. Nel caso del mio romanzo, alcuni elementi sono assolutamente presenti nella realtà che ci circonda, anche se solo in forma di esperimenti circoscritti ad alcune aree geografiche o di progetti non ancora del tutto attuati, ma già dichiarati nelle varie agende istituzionali. Penso alla proposta di abolire il contante o all’esperimento del credito sociale in alcune città cinesi (e non solo). Ho provato a pensare a cosa succederebbe se questi progetti diventassero parte della vita quotidiana. Il programma SPS, che riguarda il personaggio di Ulisse, rimanda al tema del corpo come ultimo baluardo della libertà individuale che, negli ultimi anni, ha subito un attacco molto pesante. Come sostiene Agamben in Homo Sacer,.Il potere sovrano e la nuda vita, “Nella biopolitica moderna, sovrano è colui che decide sul valore o disvalore della vita in quanto tale”. Per concludere con le parole del filosofo Byung-chul Han: “La società dominata dall’isteria della sopravvivenza è una società di non morti. Siamo troppo vivi per morire e troppo morti per vivere.”
E.M. …Posso chiederti se, secondo te, c’è un interesse sui temi distopici da parte dei lettori? E c’è la consapevolezza di non stare leggendo qualcosa di… del tutto fantasioso o “campato in aria”? Almeno, un accenno di questa consapevolezza…
Sicuramente ho ricevuto dimostrazioni di grande interesse attorno a questo romanzo. Per quel che riguarda la consapevolezza, dipende da tanti fattori che riguardano il lettore. La sua sensibilità, la sua posizione rispetto a determinati aspetti critici descritti nel romanzo. Si sente una vittima di certe derive? O finora non le ha viste? E in quest’ultimo caso, gli occhi si apriranno su nuovi orizzonti di senso o interverranno forme di dissonanza cognitiva a bloccare il sorgere di insidiosi dubbi? Alla fine di una presentazione, una lettrice si è avvicinata e mi ha detto che una scena del libro, che tra l’altro non aveva nulla a che vedere con le elezioni americane, le ha fatto capire perché la candidata del partito democratico sia stata sconfitta da Donald Trump. Un romanzo nasce uno e diventa tanti quanti sono i lettori che lo leggeranno.
E.M. Ti eri già cimentato nel genere fantascienza barra distopia, o ne hai sentito l’esigenza, in virtù degli avvenimenti degli ultimi anni? Insomma, perché hai scelto di dare proprio quest’ambientazione alla tua storia?
Ciò che è successo negli ultimi anni mi ha insegnato una cosa che, seppur ovvia, rimane spesso invisibile se non provocata da un evento esterno. E cioè che nei momenti di crisi si rivela la parte fondamentale del carattere delle persone, la loro natura più profonda. Lo sfondo distopico, come già detto, da un lato è già presente nella nostra società anche se non così estremizzato. Dall’altro esso mi permette di mettere in risalto il carattere dei personaggi e in particolare di Orlando. Lui è un personaggio difficilmente classificabile. Rappresenta l’istinto vitale che resiste a qualsiasi tentativo di ingabbiamento, etichettatura, conformismo. Non ha ideologie, segue il suo corpo, si comporta all’opposto di come vorrebbe il suo Stato che dice di volere un gran bene ai suoi cittadini. Però mentre in un momento di cosiddetta tranquillità politica e sociale queste sue caratteristiche rientrerebbero nell’ambito del normale raggiungimento della felicità individuale, in un contesto di crisi profonda della convivenza democratica queste sue caratteristiche diventano una forma di resistenza, un singolo no potente e disperato. Penso alle parole di Pasolini nell’ultima intervista del 1975 rilasciata a Furio Colombo: “I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, «assurdo», non di buon senso.”