Martedì 2 Maggio 2023 – Eliodoro di Mario Fresa su Diacritica

Su Diacritica una splendida recensione di Eliodoro di Mario Fresa a firma di Edgarda Golino.

Eliodoro di Fresa, un moto perpetuo

L’ultima fatica letteraria di Mario Fresa (poeta, saggista, traduttore, nato a Salerno nel ’73) è Eliodoro (apparso nella collana «Gli Specchi Mercuriali» della casa editrice Fallone), uno straordinario romanzo di ricerca nel quale le categorie tradizionali di spazio e di tempo si scompongono e deflagrano, risucchiando il lettore nei misteriosi corridoi di un viaggio folle e allucinatorio, tutto immerso in un’atmosfera che ricorda le movenze stilistiche ed espressive del film Mulholland Drive di David Lynch.

Il romanzo si regge su una sorta di estremo flusso di coscienza che travolge i numerosi e strambi personaggi, che appaiono sempre fantasmatici e “intermittenti”, come se fossero sull’orlo di una perenne, prossima (auto)sparizione: lo psicanalista Fliege (il dottor “Mosca”: cioè Belzebù, al quale il protagonista cede l’anima); Eliodoro e le sue donne amate o desiderate o riesumate dal passato (Luisa, Clara, Vanitosa…); il maestro di musica Danise (omaggio all’antico baritono Giuseppe Danise?); Ester, Augusto, Ruggeri, il professor Ventolini etc. Figure che, di fatto, non sono mai tratteggiate in modo univoco o compiuto, ma quasi spiriticamente evocate per il tramite di situazioni surreali e beckettianamente grottesche, risultando sospese tra il ricordo e il sogno (o tra l’immaginazione e la magica invocazione). Poi, l’ardito e mobilissimo reticolo di citazioni enciclopediche (soprattutto musicali, ma anche poetiche, bibliche, filosofiche, pittoriche, psicanalitiche, teatrali), così tanto presente nell’opera, si rivela capace di spazzare via, con diabolica destrezza, tutti i codici espressivi e comunicativi tradizionali e consolidati, sicché l’intero poema-romanzo procede secondo gli sviluppi di un percorso frantumato, parodisticamente meta(e anti)narrativo; e si può ben immaginare quanto l’autore si sia crudelmente divertito nell’architettare questo estremo gioco-racconto con la re-invenzione di una lingua che, di continuo, priva il lettore di precise coordinate logiche o di pacificanti appigli orientativi.

Un estratto-esempio del surreale e “tragibuffo” andamento onirico/narrativo dell’opera:

E spulciando tra le carte del Dossier del giovanissimo Augusto, il primo pianista in attesa per l’audizione di oggi, il Maestro Danise appare più inviperito che deluso da ciò che ha scoperto. In sintesi: poiché Augusto lavorava così male al Provveditorato, lo hanno inviato, meno di un mese fa, vicino a Camerino, ma in qualità di Rinoceronte, per ballare tra i bambini di frontiera che non solo si alzano in piedi quando entra un adulto, ma che sono già tutti buoni conoscitori del Barocco storicamente informato. Augusto, a dire il vero, non balla male. Soltanto, la sua coreografia appare già vista, un po’ stantia. E poi quel corno infiocchettato così… Rivolto proprio in faccia al pubblico! E quella tutina così aderente accompagnata ad una voce stretta, sottile, quasi morente! Le madri dei bambini, i principali spettatori, non riescono ad accettare i movimenti del suo grandissimo corno, quasi sempre messo in avanti, proprio così (si tratta di movimenti davvero sconci, dicono in coro alla Direttrice didattica, piuttosto sbalordita, inconsapevole dello scandalo che sta girando, di fatto, sulla bocca di tutti…). Ma tant’è. Questo nuovo lavoro durerà giusto, al massimo, due anni. Poi Augusto ha deciso: chiederà il trasferimento in un Circo prestigioso o, almeno, in una nuova struttura scolastica dove possa venire, finalmente, valorizzato il merito vero, non le solite piaggerie degli altri animaloni da corte poco propensi a continuare a studiare seriamente. E allora, detto fatto: dopo una telefonata velocissima, smette di colpo la sua coreografia e si trasforma in ballerino-lottatore: e se la prende con tutte le mamme, inviperite come una repubblica corrotta.

La morte, in Eliodoro, è sempre in agguato («è la certa, la camusa, la negra, la puntuale. Insomma è la signora che si presenta inaspettata e che di solito s’annuncia con certi strani dolorini ‒ sì, proprio lì! ‒ e che poi zàc, ti chiude all’improvviso, mica sai quando, il bel sipario…»). Tutti i personaggi, infine, inciampano in essa, come in un destino ironicamente crudele e incomprensibile; e tutti corrono e si affannano in un indiavolato turbinio che dona al testo un ritmo sì musicale ma anche mosso e precipitoso, inquieto e ansante (metafora e specchio del nostro vivere contemporaneo). La narrazione mima, allora, la disperante, comico-drammatica visione di un basso inferno dantesco attraversato da voci, memorie, desideri, ossessioni che non concedono ai protagonisti nessuna ipotesi di salvezza o di redenzione ma ‒ sembrerebbe ‒ neanche la certezza di una totale distruzione o di una definitiva o irreparabile dannazione.

Con questo singolare romanzo polifonico, Fresa è riuscito a costruire un’opera ‒ coraggiosamente folle ‒ che pare ambiguamente sospesa su sé stessa, o trattenuta in un perenne volo vorticoso.

(fasc. 47, 25 febbraio 2023)

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