Su Poesia del nostro tempo Enrica Fallone risponde alle domande di Silvia Rosa per la rubrica Scaffale Poesia: editori a confronto.
Può raccontarci brevemente la storia di Fallone Editore e delle sue collane dedicate alla poesia? Quali sono, a Suo giudizio, le peculiarità che la caratterizzano?
La Fallone Editore nasce cinque anni fa, nella primavera del 2017, non è una casa editrice specializzata in poesia, ma dedica ad essa grandissima attenzione. La poesia è il punto apicale della letteratura, ciò che resta maggiormente nei lacerti delle storie letterarie; è lo spreco, la condensazione e lo straniamento del linguaggio, l’abbondanza nello scarto, dunque un lusso. Ciò che resta maggiormente nella storia della letteratura. Le collane poetiche sono tre: Il Drago Verde, diretta da Michelangelo Zizzi, che si propone di pubblicare le migliori opere, organizzate in forma poematica complessa; Il Leone Alato, diretta da Andrea Leone, plaquette di 12 poesie ridotte nel formato e ricercate nella grafica – il 12 è un numero che ricorre spesso, dodici sono anche le collane, per una mia ossessione di incasellamento numerico: 12 gli apostoli di Cristo, le Costellazioni dello Zodiaco, i pianeti del sistema solare; e Il fiore del deserto, collana ad ampio spettro, dedicata per lo più alla poesia emergente (per emergente s’intenda ‘poco nota, conosciuta’), senza limiti formali o strutturali. Il comune denominatore delle tre collane sta nella qualità dei testi, che selezioniamo con attenzione tra le tante proposte di che ci giungono.
Potrebbe indicare i punti di forza e le criticità di una casa editrice come Fallone Editore che si occupa di poesia, oggi?
Credo che i punti di forza e le criticità coincidano e si snodino su rette parallele a seconda del tipo di fondamenta alla base di una struttura. Una piccola casa editrice con poche pubblicazioni annuali e una distribuzione nazionale deve confrontarsi con problematiche molto simili a quelle di imprese medio-grandi ma con risorse economiche e umane infinitamente inferiori, tentando di preservare la dimensione di cura artigianale che la caratterizza. Il cortocircuito è sempre a un passo, per evitarlo servono attenzione e passi molto calibrati. E, tuttavia, a mio avviso, il punto di forza sta proprio nella manifattura artigianale, nella scelta del dettaglio, nella produzione di prodotti editoriali che siano godibili letterariamente ed esteticamente, una forma anarchica di protesta silenziosa contro un tempo di massificazione e virtualità, di produzione in serie, di abolizione della differenza. Proprio adesso occorre stare in forti dimensioni identitarie, che, forse, e nonostante le difficoltà di ordine pratico, nel piccolo risultano maggiormente evidenti.
Nella scelta delle pubblicazioni poetiche quali sono i criteri seguiti? Può definire la linea editoriale che caratterizza Fallone Editore in ambito poetico? Che cosa Vi spinge a scegliere un’opera piuttosto che un’altra?
Sicuramente la qualità dei testi unita a una visione poematica dell’opera. Si pubblicano poemi, opere compiute o comunque ricondotte a un senso, non singole poesie. La consapevolezza, una visione del mondo che si rifletta letterariamente, in opposizione strenua alla banalità del caos, della mancanza di senso, del pressapochismo.
Quali sono i titoli più venduti e le/gli autrici/autori più amati del vostro catalogo di poesia? Ha qualche aneddoto da raccontarci in merito a qualche titolo, a cui Lei è particolarmente legata?
Di certo Alfonso Guida, Franco Buffoni e Giuseppe Conte, come anche Viaggio salvatico di Gianpaolo Mastropasqua, Quaderno croato di Vanni Schiavoni, solchi di Jacopo Mecca e I vivi. Un tremore di Andrea Donaera. È un po’ un falso mito quello che vorrebbe la poesia invendibile, solo per pochi appassionati. La poesia non è per tutti, non tutti la apprezzano, ma la frangia di lettori che si rivolge quasi esclusivamente ai testi poetici è molto più ampia e forte di quanto si possa comunemente immaginare. Sono legata a ogni libro che ho pubblicato, ognuno ha una storia diversa, ognuno a suo modo ha segnato un pezzetto di strada. Luogo del sigillo di Guida occupa un posto particolare nel cuore perché ha inaugurato le pubblicazioni della casa editrice nel giugno del 2017, aggiungendo al valore indiscutibile dell’opera anche un valore simbolico in quanto luogo di fondazione e sigillo di fuoco.
Secondo Lei la poesia continua a rispondere ai bisogni dell’Uomo, nonostante le trasformazioni a cui la società è andata incontro e gli spazi pubblici sempre più esigui a essa dedicati? Cosa si potrebbe eventualmente fare per incrementare l’attenzione del pubblico e incentivarlo a leggere più poesia?
Non credo che la poesia debba necessariamente rispondere a un bisogno, se non per chi scrive. I grandi temi della poesia, ma direi dell’arte in genere, sono gli unici due stati che ci cambiano radicalmente la vita: amore e morte; il resto è derivazione, discendenza, variazione su tema. Ne siamo tutti portatori, ognuno per sé, non tutti sono in grado di trasfigurarli in arte. E questo è un fatto di cui bisognerebbe prendere atto. Poi, per quella che è la mia esperienza, la poesia si legge almeno quanto la prosa. È la poesia scadente che non si legge, il poetese da parrocchia, da gabbiani e innamorati al tramonto. Auspicherei una maggiore selezione dei testi poetici, una sacrosanta stroncatura quando occorre. Probabilmente perché, trattandosi di testi relativamente brevi, lo scrivente ritiene di poter dire la sua e di essere già poeta con tre parole in fila; inoltre, negli ultimi decenni proprio la poesia – lo ripeto: il punto apicale della letteratura, lo spreco della scrittura – è stata fagocitata dal pop, pronta all’uso e alla portata di chiunque, in una sorta di fast food del sentire a buon mercato. Con questo non sto escludendo la possibilità che chiunque possa scrivere, sto però dicendo che dovrebbero pubblicare in pochi.
Quali sono a Suo dire i cambiamenti che stanno interessando il mondo dell’editoria a seguito dell’evento pandemico? Quali sono secondo Lei le difficoltà, i possibili scenari futuri e le eventuali strategie di sopravvivenza per chi opera in questo settore?
L’isolamento prodotto dalle misure pandemiche ha innegabilmente contribuito alla virtualizzazione della realtà, le attività che prima erano esclusivamente in presenza sono state dirottate sul web, creando una sorta di abitudine al discorso mediato, non più diretto, visivo, tattile. Siamo arrivati al punto che molti preferiscono la diretta Facebook alla presentazione fisica, già dover specificare che ‘la serata è in presenza’ ha qualcosa di disturbante. La sensazione è che si sia creata una patina opaca tra lo scrittore e il lettore, ormai assuefatto alla diffusione internetica di contenuti culturali e poco propenso al contatto diretto. Invasi dall’interferenza mediatica che si fa rumore sulla linea dell’ascolto reale, la stragrande maggioranza dei lettori ne esce disorientata, poco incline a presentazioni de visu, a incontri che siano materiali e occupino uno spazio fisico nell’economia di una giornata. Lo stesso discorso vale per cinema e teatri e per i luoghi di aggregazione culturale. Non so se si tornerà completamente indietro. La virtualità crea dispercezioni anche valoriali, un unico grande contenitore livellante, perennemente iperesposto, senza stile, senza marche di riconoscimento che non siano le solite e abusate tipizzazioni artistiche. Un ossimoro inconciliabile con l’atto della scrittura, che è privato in quanto tale e diventa pubblico, direi del pubblico, nel momento in cui si fa testo edito. Occorre scremare, a mio avviso, nel punto massimo della sovrabbondanza: ridurre il quantitativo spropositato di uscite editoriali giornaliere. Portarsi all’essenziale.
Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia?
La rete è uno strumento e, come tale, richiede capacità di utilizzo e di discernimento, uno specchio riflettente in nuce la multiforme realtà letteraria che trova poi amplificazione più o meno netta a seconda dei contesti. Voglio dire che il rischio sempre dietro l’angolo è il calderone sottoboschivo, traboccante di like degli amici degli amici e piaggerie da circolo ricreativo, e tuttavia proliferano pure piattaforme di spessore letterario notevole, spazi virtuali in cui si crea reale dibattito, critica costruttiva ben distante dall’elogio smodato e immotivato di chi legge solo se stesso e l’amico del cuore. Bisogna saper scegliere. In determinati circuiti, la rete diventa effettivamente un valido veicolo dell’agire poetico, letterario. In altri, ben più affollati, lascia il tempo che trova – nelle more, il sottobosco continua a leggersi negli androni della provincia; i poeti sono e restano lettori prima ancora che scrittori: chi non ha mai sentito nominare Zanzotto, la Calandrone, De Angelis o Cucchi e scrive avendo letto solo Pascoli e Leopardi può solo intasare circuiti già traboccanti oltre misura.
Che consigli darebbe a un/a autore/autrice che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?
Se devo essere completamente sincera, la risposta dipende da chi pone la domanda. Nella stragrande maggioranza dei casi, il consiglio onesto sarebbe quello di non pubblicare affatto, perché – diciamolo – quasi la totalità degli scriventi sogna di pubblicare, senza averne l’effettiva capacità, senza sapere pure a cosa va incontro. Essere pubblico significa esporsi, significa sapere che potrebbero esserci delle critiche e riuscire ad accettarle senza drammi, soprattutto significa sapersi nella scrittura, avere nozione di sé in quanto scrittore, essere uno scrittore. Lo sono in pochi. A questi pochi consiglierei di non perdersi nei labirinti tipografici dell’autopubblicazione, che apre le strade dell’oblio anche ai migliori, e di scegliere la casa editrice a cui mandare il proprio testo con cognizione, per visione del mondo, progetto editoriale, idea della letteratura. Editore e autore non devono essere amici, non è necessario, ma devono saper guardare nella stessa direzione, avere gli stessi obiettivi, almeno per quel che concerne il lavoro editoriale.
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Enrica Fallone (Taranto, 1984), dopo gli studi in Editoria e anni di collaborazioni con giornali, riviste, case editrici e agenzie letterarie, nel 2017 ha fondato la Fallone Editore.