Su La Voce del popolo (Fiume-Rijeka -Croazia), quotidiano di informazione in lingua italiana, una recensione a firma di Nelida Milani a Poesie scritte sul retro di scontrini di Alessandro Salvi.
Un piccolo gioiello, profumato di inchiostro, è la plaquette di Alessandro Salvi dal titolo “Poesie scritte sul retro di scontrini”. Nonostante la facilità con cui si leggono possa indurre a pensare, a una prima lettura, che le poesie siano state scritte di getto o senza accortezza tecnica, una lettura più approfondita testimonia il contrario, anzi danno l’idea della preventiva riflessione molto accurata.
Poeta estroso, ironico, geniale, Alessandro è un logonauta esperto, un innovatore, capace di lasciare la sua inconfondibile impronta in ogni sua silloge. Le dodici liriche della plaquette raccontano un pensiero costantemente poetante e hanno come comune denominatore profonde ragioni interiori, tormenti intimi, e, soprattutto, l’amore per la poesia.
Presenza poetica di rilievo nel gruppo della “Pergola della Poesia”, sempre in controtendenza, Salvi ha ribadito in questa mini-silloge le forme chiuse della tradizione, un’evidente perizia metrico-formale, con la quale dar vita al sonetto, al distico e alla terzina, al polimetro e alla canzonetta. Come Mauro Sambi, anche Salvi è convinto che costringersi in una prigione formale sia il massimo della libertà. E anche qui emerge il talento di un poeta la cui leggerezza è frutto di grandi doti tecniche e del ricorso continuo ad un gioco che favorisce il virtuosismo verbale, in cui l’antico e il moderno, l’aulico e il quotidiano, l’ascensione e la pesantezza, l’onirico e il reale, il sublime e il volgare, si coniugano e si contaminano.
Sono di scena l’horror vacui soffocato nel bicchiere, il ritratto di sé a contatto con le donne e con “l’illeggibile cifra del mistero” che esse racchiudono (“se mi dice di sottecchi […] che l’invisibile parla agli orecchi // ma mai potrò capirlo”), la degradante attualità del quotidiano, gli avvincenti colpi di scena in giocolerie godibilissime pervase da figure di suono (“anemica nemica”) e da strutture chiastiche (“Io sogno te e tu sogni me, ma ognuno / è solo, solo nel sogno dell’altro”, il disagio esistenziale (“L’odierna attesa agli sportelli chiusi / della speranza”), una relazione contraddittoria e sofferta col mondo. Salvi occorre prenderlo così com’è, con la sua somma di contraddizioni, le sue idiosincrasie, i suoi moti ironici e spiritosi, le sue sofferenze tragiche, il suo ego sbattuto in faccia a chiunque lo legga (“Cose che non sopporto”). A chiedergli “come stai?”, rischi di sentirti rispondere “disperatamente bene”. Ma certamente c’è dell’appagamento, della consolazione, della gioia intima e profonda derivante dal far poesia. Lo si intuisce nel distico “La differenza tra prosa e poesia? / La prosa dice, la poesia seduce”. E Salvi seduce con emozioni e meraviglie alla stregua dell’Illusionista Eisenheim (Edward Norton) in un presunto confronto nel cercar di determinare dove finisce la realtà e dove inizia la magia. Non è forse magia quella dell’ultima terzina, quando Ale dal bancone bar fa svolazzare uno scontrino che nel volo verso terra si trasforma in farfalla verso il cielo. Più che magia è poesia.
Ah, i poeti, i poeti! Vien da pensare che essere poeti è una sfiga, altro che anime belle! Ma i poeti nascono poeti e devono seguire la loro natura. Vien da pensare che la poesia non sia mai stata il centro del mondo e neppure sia stata un linguaggio di largo consumo e sicuramente non ha mai cambiato il corso della storia. Ma si può fare a meno della poesia? Assolutamente sì. Se si decide di retrocedere nella barbarie umana e culturale, allora si può vivere benissimo senza poesia. L’augurio è che questo non accada mai. Ci pensa Alessandro Salvi a scongiurare il pericolo, ci pensano i centomila e più Salvi del mondo che continuano a testimoniare nel tempo i battiti del cuore umano con le parole, capaci come sono di movimentare tutto il linguaggio e ricollocarlo alla sua sorgente prima: tornare a farlo diventare un’esperienza di vita. (nmk)