Mercoledì 22 Febbraio 2023 – Eliodoro di Mario Fresa su Limina Mundi

Su Limina Mundi Marco Furia recensisce Eliodoro di Mario Fresa

 

“Un fecondo gioco” – Marco Furia legge “Eliodoro” di Mario Fresa

 

Come un gioco verbale sospeso sul suo medesimo linguaggio, “Eliodoro”, romanzo di Mario Fresa, si presenta al lettore quale specchio capace di riflettere non una singola immagine ma una precisa, grottesca, serie di frammentate sequenze.
Del resto, l’autore, nel capitoletto d’appendice “a. Che cos’è Eliodoro. Caratteristiche e posologia”, tiene a dire:

“Eliodoro è un romanzo-gioco di pannelli e di schegge mobili che possono essere letti in successione o in modo più rapsodico, per esempio aiutandosi con l’aiuto di un dado e di una seconda voce femminile o maschile […]”.

Schegge e pannelli, dunque?
A prima vista sì, tuttavia …
Tuttavia, pagina dopo pagina, ci si accorge di come una ben poco lineare trama non si limiti a far emergere personaggi e circostanze, ma, nel farsi acrobatica parola, suggerisca una sua originale visione del mondo.
Non mi riferisco a una sorta di senso della storia che lo stesso Fresa propone, per esempio, indicando i titoli dei singoli capitoli, né ai più o meno ampi funambolici tratti, penso piuttosto a un dinamico quid che sembra superare-costituire il concetto di racconto.
Si tratta, a mio avviso, di un desiderio di vicenda che non s’intende ignorare, di un originale persistere quale espressivo narrante nel suo nemmeno troppo mascherato confessarsi: il Nostro non entra nel romanzo nelle usuali maniere perché è ben cosciente di farne parte, in ogni modo.
Affermazione banale, si dirà: chiunque si esprime per via di scrittura è presente nella scrittura stessa.
Qui, però, qualcosa di diverso si aggiunge, qualcosa in grado di chiamare contemporaneamente dentro e fuori.
Togliere il nome dell’autore dalla copertina o, al contrario, renderlo incancellabile?
Ambedue le cose.
Atteggiamento dalla valenza assai creativa proposto, almeno in apparenza, con noncurante naturalezza: atteggiamento nel cui àmbito il lettore si viene a trovare come per caso, passando da un brano all’altro, da una visione all’altra.
Simile a una roulette che sembra non fermarsi mai, questa scrittura non si preoccupa né di arrestarsi né di proseguire: il suo è moto perpetuo, ma è pure continua fine
d’isolati attimi-tratti, di singole particelle di spazio-tempo-parola.
Si legge, ad esempio, a pagina 71

“E poi, sorpresa amara, soltanto per fregare il destino, Ruggeri che sta per fare, in un momento, il salto salutare vede tutto con un certo anticipo allarmato: vede vicino a quello sbarco, con l’aiuto gentile del principe alato, mosca-radente, comparso sul labbro della tazzina lasciata lì […]”

e a pagina 105

“Il maestro Denise è in bilico solenne, adesso, col suo equilibrio in pezzi, con quel suo piangere ridere, con quel suo tipico urto di potenza, insomma; come un bimbo che non dorme ma che s’incanta mentre sente la TV-giovinezza […]”.

Come si vede, lo sguardo dell’autore nel suo essere acuto, attento al particolare, partecipa d’un non consolante senso del favolistico che porta lontano pur essendo vicino, proprio lì, negli accostamenti di un probabile che evoca realtà anche quotidiane.
Davvero, ci si trova di fronte a uno specchio verbale preciso nel suo rendere evidenti vividi tratteggi di un non racconto che, tuttavia, è anche racconto: mettere in discussione certi nostri schemi significa promuovere feconde riflessioni sugli schemi medesimi e, alla fine, su noi stessi?

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