Sabato 4 Febbraio 2023 – Reliquiario carnale di Giancarmine Fiume su Intonazioni conseguenti

Su Intonazioni conseguenti Antonio Bianchetti scrive di Reliquiario carnale di Giancarmine Fiume.

 

Io non sono nulla eppure tutto mi appartiene

 Inizia con questa frase la raccolta poetica di Giancarmine Fiume intitolata “Reliquiario Carnale” (Fallone Editore), anticipata da una frase dei Pink Floyd: “…Per caso due sguardi separati si incontrano e io sono te, e quello che vedo sono io…” (da Echos). Fondamentalmente la poesia è un viaggio: interiore d’accordo, ma spesso è anche un’avventura che va oltre i confini dell’io, proprio per andare al di là degli orizzonti personali. Idealmente, tutto quello che succede intorno, dalla partenza all’arrivo, è Reliquiario Carnalesostanzialmente qualcosa che assimila e accomuna ogni tipo di paesaggio, come se la pelle fosse un lembo di terra da attraversare. Tutto diventa parte della stessa visione, fino a idealizzare la figura simbolo della donna come se fosse una liturgia: Sibilla è il nome della protagonista di questo libro, dalle molteplici sfaccettature, dai tanti significati, e intorno a lei nasce questo reliquiario carnale.
Lo spazio che il poeta deve attraversare, è qualcosa che ci appartiene, inconsapevolmente, perché la strada che percorriamo ogni giorno, in base alle nostre condizioni sensibili, cambia la sua prospettiva. Ecco che, continuamente, paesaggio e figura femminile si alternano nello sviluppo lirico della storia.
I versi di Giancarmine, raccontano e nello stesso tempo decantano innumerevoli stati d’animo. Non si stancano di alternare una continua metamorfosi fra persone e oggetti, fra protagonisti e panorami. Assistiamo a un gemellaggio fra sud e nord, come se il corpo dell’Italia diventasse il palcoscenico ideale della narrazione. Sempre il viaggio ricordate? E non ci si ferma, mai! Poi, man mano, la carne prende il sopravvento su tutte le cose, a tal punto da raggruppare la trama in una sorta di adorazione sacrilega. Ma se la poesia è il mezzo necessario per raccontarsi ancora una volta, qual è lo slancio dello scrittore nel volersi mettere a nudo, con tutte le sue pulsioni, con tutte le sue delusioni, con tutte le sue indecisioni? L’Arte si sa, ha da sempre una funzione catartica, proprio per elaborare una necessità che l’individuo avverte come una boccata d’aria, a volte intensa come una musica, a volte breve come una poesia. In fondo, Giancarmine Fiume lascia che sia tutta la messinscena a coinvolgerci definitivamente, come se l’amplesso delle parole fosse sempre lì ad aspettarci: “…Dovrei dirti che ti amo, / dovrei dirti che scompaio / per la prima volta.”

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L’autore mette in versi un poema che alla stregua dei fatti è diviso in tre libri, come se l’ipotesi di una trilogia fosse l’afflato necessario per potersi rispondere, talmente alta è la necessità di esporsi al pubblico per elaborare la sua rabbia.
Il primo s’intitolava semplicemente ¡u! (Puntoacapo editore) e il terzo dev’essere ancora pubblicato. Ma se una semplice esclamazione diventa una specie di meraviglia quasi a conquistare la luce, cosa rimane di tanto buio che ci siamo lasciati alle spalle? Ognuno di noi sa che la discesa agli inferi lascia infinite tracce dietro di noi e la risposta è proprio racchiusa nelle pagine dei libri di Giancarmine, come appunto in questo Reliquiario, dove lirica dopo lirica, si sviluppa una storia dal ritmo serrato, asfittico, anche poliedrico se vogliamo, perché la trama viene sviscerata da molti punti di vista, fino a incunearsi nell’unica direzione possibile: “lei” la causa, “lui” la reazione, “noi” i lettori che assistono alla scena e infine ancora lei la “poesia”, l’effetto derivato dall’evento. Un evento che non lascia scampo a nessuno, come se una forma abrasiva di lacerazione si fosse nascosta tra i fogli di questa raccolta, diventando parte stessa del libro, completandolo. Però, è proprio fra questa pagine che il rapporto fra “dominatrice e succube” si ribalta, lasciando nell’arena un unico vincitore, facendo dell’arte o della poesia la sorprendente arma dai molteplici risvolti. E non è autocompiacimento, è la convinzione che la creatività ci dona la ricchezza per vivere più vite.
L’autore ci dice che amare è da stupidi o da eroi, ma è anche la forza che regge l’universo, e con lui tutti noi.

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da Reliquiario Carnale

Nella penombra genuflessa
i tuoi baci sono armi
di distruzione di massa,
il sacrificio di profumo soave.
I tuoi feromoni rallentano
la rotazione terrestre,
celeste ma gli umori,
i tuoi umori pungenti in endovena
sono stillicidio di forme,
collaterali.

***

Cammino gracchiando
al sordo mugghiare
di una strettoia sulla Nazionale
dove annegano nell’acquitrino
macerie di copertoni bruciati.
L’abbandono è un dolore di plastica
e nella resa all’inedia
un’altra mano di pittura
aggrappante
asperge diazepine dal tuo perizoma
con filtro antiparticolato.

***

Mi allontano come un elastico
rotto dalla tua bocca friabile
dove bivaccano le mie malinconie
nell’odore di cuoio tamponato,
pane al sesamo e nudo integrale.
Cerco ancora il mio sapore
sul tuo fenotipo top di gamma.

***

Scendono, dalla Santissima,
in fila indiana gli spari
e costellazioni di buchi neri
migrano nella tua sclera urticante
al bramire del climatizzatore
ancora in garanzia.
C’è una salamandra
nella plafoniera smerigliata
e la tua cavigliera gettata
addensa lacerti di una rabbia
centripeta.
Nella mutezza delle ombre
il tuo reggiseno diviene
polena della mia desolazione.

***

I tuoi gemiti scanditi sovrastano
ogni umana caducità
al mareggiare di mortali carni
sotto la spinta dei nostri labiali
come da un vitigno
tra le rovine della rocca
e piegano gli scorci del Belvedere
negli steli al passaggio delle vacche.

Impetuosa, là tu vieni
in tutti gli stati della materia.

***

Il tuo sguardo anticipa l’inverno
e un sorriso rastremato
dalla parte opposta
della curvatura terrestre
sorge sulle nostre rovine adese
di scorcio al monumento ai caduti.
Nei passanti bruniti riconosco
i rantoli di un anacronistico
amore.

***

I ragazzi delle medie giocano
senza portiere
davanti al Milite Ignoto
che se ne frega dei miei turbamenti
nel refolo di un sempreverde.
Fermo immagine dello stradino
e vespe attorno un ghiacciolo alla menta
nel pozzo di San Francesco,
la tua tosse secca dentro i miei baci
in equilibrio gravitazionale,
emerge a bordo fontana
la mia dichiarazione in ginocchiere:
amare è da stupidi o da eroi.

***

Tu, Sibilla Pavese,
sposa del fiume
abbeveri la mia anima
arida, ruvida ed avida.
Quando il tuo sorriso sorge
sul lato oscuro del mio viso
e si sciolgono i ghiacciai
nella vita che risorge,
nella semina del riso,
io mi specchio nell’incavo
della tua mano.

***

Ormai ci siamo.
Sertralina e distillati.
Non resta che fare la voltura
nel mio cervello eiettabile
come molluschi spiaggiati
nelle vaschette
riciclate dell’Esselunga.

***

È perché indietreggio come un’ansa
dinanzi ai tornanti del tuo seno
rutilante, che io accado
mentre mi impiglio tra i tuoi rebbi
acuminati
nell’albeggiare dell’ora legale.

Sei bella, Sibilla Pavese,
sei bella di un amore doloso
in puntuale divenire,
sul mio adespota vigore,
ambrosia e salsedine.

***

Non oltre avvengo

Giancarmine Fiume

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Giancarmine Fiume è anche musicista e compositore di testi, non è casuale che fra queste righe prende corpo una metrica con un suo ritmo scandito dalle molte metafore, le quali, si susseguono maniacalmente sopra lo spartito della sua canzone. Alla fine, però, non serve cantare: bisogna soltanto ascoltare questo racconto fatto di spasmi e adorazioni, di bestemmie e incantamenti.
Alla prossima ragazzi!

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