Su L’asterorosso – luogo di attenzione e poesia Isabella Bignozzi scrive meravigliosamente di solchi, il poemetto di Jacopo Mecca.
“solchi” di Jacopo Mecca
Fallone Editore 2021
Collana Il Leone Alato diretta da Andrea Leone
Il solco porta nell’etimo il fendere e il trainare: è gesto silenzioso e faticoso il solcare, che prelude alla deposizione di seme al buio, nel ventre equanime del cosmo: rituale agricolo antichissimo di morte e rinascita, che fa fede, attesa, speranza di frutto.
Nell’epoca della profusione e della continua estroflessione di sé un giovane poeta si dà nella brevitas di una plaquette (Jacopo Mecca, Solchi, 12 poesie, Fallone Editore 2021) che porta nel risvolto una dichiarazione d’intenti: la collana di cui è perla sia alveo e traccia, segno “sulla linea rettilinea del futuro prossimo” come “periodo ipotetico che, per profezia, non confuterà sé stesso”. Mite dichiarazione, immenso intendimento, nostro intimo augurio a ogni voce poetica, in specie se giovane e nuova: che sia sempre ciò che si scava, e non ciò che vanamente si sporge, a suggerire profondi sensi e abbozzi di direzione: “posizione misurata” del ritrarsi precisissimo, che traccia a filo d’assenza un’idea, sempre effimera, di rotta. Che il solco chiami a sé il pensiero, la parola, nei lontani lidi di ultime letterarie e umane lealtà.
*
Da Jacopo Mecca, Solchi, Fallone Editore 2021
I
Qualcosa di impreciso ci ferma
lungo il ritorno a casa.
Una scritta sul muro che ieri non c’era,
due che si stanno urtando più in là
o i resti di un cestino, rivoltato forse
alla ricerca di scarti di cibo. Tutto è già lì
prima di noi, ma solo ora morde lo stomaco
come un crampo che non accenna a diminuire.
Ammettiamolo allora che esitiamo
nell’ultimo passo che ci manca
quello che pretende una scelta
e che sappiamo essere già da ora
il più breve e difficile.
*
III
Sono passate due ombre fragili di fronte
a questa finestra, più lunghe sul muro.
Di qua, qualcosa esita e ripete
di stanza in stanza la pausa di chi resta
tra un respiro corto
e i rumori del legno che si assesta per le scale.
Qui, qui è lontano se tu non ci sei.
E dico questo tra me che muto
parlo dentro di me, con voce
non mia, voce sola quasi di un altro
se esce da questa gola dura e secca.
E intanto immobile provo lo spazio vuoto
tra le pareti e le parole. Provo.
Ma qui ora è lontano e difficile da dire.
*
IV
Ora non basta stare così, nella posa dell’olio.
Qui non basta provare intenzioni e parole
nei gesti vuoti di un altro.
Non ci sono più le cose di casa ora, l’interno
da preservare con cura come ci hanno insegnato,
l’angolo di polvere dove la scopa non arriva.
Ma solo nomi e prove di nomi
detti piano per un domani.
E forse per ora questo è tutto. E se non basta
è tutto quello che sono, è tutto quello che posso.
VII
Sul lungolago a pelo d’acqua si sgrana mossa
una sagoma dal bordo della riva.
Si fa avanti tra la nebbia e l’autunno
velata da un profilo indiano o mediorientale
il mio, stretto
tra il fiato corto degli inizi e il morso della fine
– quella linea appena curva sul naso, quel neo
oltre l’arco superiore delle labbra.
Intorno ora ogni sguardo sembra a rischio
e se muovo più in là me
me la porto dietro
come l’ombra o la ramaglia trascinata qui
sulla rena dalla corrente
che fa mancare l’appoggio ad ogni passo.
È cedere che fa tremare… – ti ho tenuta
come acqua nella conca di una mano.
*
XII
solchi III
Ora prova tu. Sbaglia. Prova la presa sul manico:
la mano forte ferma davanti, l’altra dietro
mobile e libera sul contraccolpo. Non a parole, me
lo hai insegnato a gesti, dal sudore, dal ruvido
dei palmi. Così si traccia un solco: con posizione
misurata e il primo colpo di zappa che a fil di
spago taglia una direzione da seguire.
*
Jacopo Mecca è nato nel 1992 a Torino, dove vive. Sue poesie sono apparse su Atelier e Poetarum Silva. È presente nell’antologia Abitare la parola (Ladolfi, 2019). solchi è la sua opera prima.