Venerdì 11 Marzo 2022 – Contrada dello Zodiaco di Angelo Restaino su Laboratori Poesia

Su Laboratori Poesia una nota di lettura a Contrada dello Zodiaco di Angelo Restaino a cura di Mario Famularo.

 

II.

Fioccano addosso foto di vacanze

fra sbadigli della nuvola, scommessure

fra due assi ben piallate del codice,

efficace sequenza di istruzioni

che potrebbero essere poetiche

ma intanto basta mostrino la strada.

Isidoro avrebbe detto musica e dolore

varianti scartate di identità passate

frammenti precisi di logica, algoritmo

o per altri recitazione di preghiera

versetti o sure di caratteri unicode.

Fioccano lente foto di vacanze

attraverso le maglie della rete

fin quando basta lo spazio

dei nostri corpi, macchine virtuali

potenzialmente sterminate.

Che la memoria globale possa

abolendo i tratti vuoti e quelli neri

inventarci sani e salvi

vani e sorridenti come non siamo stati:

potremmo essere un giorno indizio

di civiltà liete e sepolte, se qualcuno

vorrà unire i pezzi sparpagliati

dal crollo finale del server.

 

III.

Inferno sarà essere dati irrelati

e senza contesto, passaggio

di rari elettroni acceso-spento

nel deserto buio della macchina

dove ci ripareremo. Sarà lotta

di classe a filo incandescente

per superficie di memoria,

mentre una civiltà ostile fiorisce

su bobine di nastro magnetico.

Sarà freddo e di notte bagliori

di casuali stringhe alfanumeriche

– tra cui frammenti di Dante

digitato nel tempo eterno

come scimmie acute e operose

da noi, senza volerlo, al lavoro –

in corsa perenne su sopraelevate,

e dovunque pesante la neve

che ci avrà bruciato gli occhi

che guardano senza soluzione

di continuità: inutili le palpebre.

 

IV.

Intanto noi, senza volerlo, al lavoro:

ordinatores dei meme di Rosetta

per interpreti futuri occhi d’argento

sotto tralicci e pilastri luminosi,

innamorati di qualcuno fatto scritto –

– e battute a contrasto per chilometri

di thread come lunga pergamena

da seminare ai tuoi passi per trovarti

nella fuga di stanze del pomeriggio:

e infine conosciamo la morte,

un ondeggiare quieto di tende

dietro cui senti rovinare una catasta

di poligoni e url e Wunderkammern

a flash concentrici, horti conclusi

dove ridono insieme urì e otaku,

perché ognuno equivale a relazione,

e il nom de plume è un nome utente

e ogni ente ipso facto è connessioni

stabilite con n-cose o niente.

 

(Angelo Restaino, “Contrada dello Zodiaco”, Fallone Editore, 2021)

 

 

L’esasperazione della virtualità delle nostre relazioni, non esclusivamente umane, ma anche nei confronti della conoscenza, dello svago, dell’intrattenimento, della ricerca, è allo stesso tempo tratto caratteristico del nostro vivere e fenomeno in febbrile e progressiva esponenziazione – radicale ed incosciente – nello scorrere dei nostri giorni.

Gli aspetti positivi vi sono certamente – pochi – come l’ottimizzazione di spazio e tempo, l’opportunità di intrattenere rapporti altrimenti impossibili, e via dicendo; tra quelli nocivi, in maggior numero, meritano un posto d’onore l’alienazione dal vero e la capacità di desensibilizzare l’utente nei confronti di ciò con cui si relaziona: una depotenziazione dell’intensità e dell’autenticità dei contatti inversamente proporzionale al loro proliferare incontrollato e tendenzialmente omologante (lo si ribadisce, ciò non ha a che vedere esclusivamente con le relazioni tra esseri umani).

Questi testi di Angelo Restaino, tratti da una sezione della sua raccolta d’esordio, intitolata emblematicamente “Il crollo finale del server”, non senza amara ironia esaminano lucidamente i paradossi cui ci siamo lentamente assuefatti, ponendoli in una prospettiva storica e invitando a una riflessione, individuale e collettiva.

E così, mentre “fioccano addosso foto di vacanze / fra sbadigli”, i “frammenti precisi di logica … di caratteri unicode” confondono “lo spazio / dei nostri corpi” alle “maglie della rete”, i sensi della materia al codice di “macchine virtuali / potenzialmente sterminate”. Ci si affida a tal punto alla “memoria globale” (indebolendo sempre più la propria) da rivolgerle la preghiera di “inventarci sani e salvi” e non “vani e sorridenti”, nella speranza che un domani, i nostri eredi (ci si augura non più avvezzi a questa dimensione deformante della percezione) ravvisino nella memoria della rete un “indizio / di civiltà liete e sepolte” (e quanta letizia appare in superficie!), se mai vorranno unire i frammenti dopo il “crollo finale del server”, in quello che appare il reale auspicio dell’io del testo.

In una simile logica relazionale distorta l’inferno diventa “essere dati irrelati / e senza contesto”, sfuggire alla logica algoritmica del programma, non avere un posto sicuro nella memoria “su bobine di nastro magnetico”. E il narcisismo isterico della modernità, screziato da venature di athazagorafobia (il terrore di venire dimenticati per sempre), ci rende “scimmie acute e operose … in corsa perenne”, con gli occhi sempre spalancati fino a bruciarsi, guardando “senza soluzione di continuità”.

E “intanto noi, senza volerlo, al lavoro”, procede l’immaginario nell’ultimo testo, siamo presi dai “meme di Rosetta / per interpreti futuri” e “thread come lunga pergamena”, mentre in modo sinistro si intravede la stanza di chi osserva da dietro lo schermo, perduto tra “poligoni e url”, dove “ognuno equivale a relazione”, nel suo conoscere la morte nell’assenza di “connessioni stabilite”, la cui alternativa altrettanto agghiacciante è quella di averne con “n-cose” (ed ecco che le relazioni umane vengono omologate a quelle con ogni altra cosa).

Lo scollamento con l’esperienza autentica dell’esserci viene rappresentata in tutta l’isteria di questo nuovo quotidiano, che ha ormai superato le soglie dell’assuefazione per diventare nevrosi collettiva; e non è certo la tecnologia di per sé, nel suo proporre un modello alternativo a quello reale del mondo e delle relazioni, a venir condannata – quanto il precipitare nella trappola seduttiva del rifiuto delle difficoltà della vita reale, sempre maggiori, per carità, con l’inevitabile risultato di perdere anche la rara possibilità delle sue autentiche, gratificanti e consistenti conseguenze.

Mario Famularo

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