Su Via Lepsius Antonio Devicienti scrive del volume La Cura Filosofica di Andrea Brioschi e Michelangelo Zizzi.
Breve nota alla “Cura filosofica” di Andrea Brioschi e Michelangelo Zizzi
di Antonio Devicienti. Via Lepsius
Premetto subito che mi accosterò al libro La Cura Filosofica di Andrea Brioschi e Michelangelo Zizzi (Fallone Editore, Taranto 2021, Collana “L’asino d’oro”) come semplice lettore e, avverto, con le inevitabili ingenuità di chi non possiede conoscenze approfondite legate al cosiddetto counseling, life coaching e via enumerando.
Il volume si profila quale un poderoso strumento anche per chi esercita tali professioni, benché (giustamente e chiaramente) Brioschi e Zizzi sottolineino che la cura filosofica si distingua da esse e in particolare dalla consulenza filosofica.
Per quanto mi riguarda trovo estremamente interessante che due scrittori e poeti si siano dedicati alla stesura di un libro ricco e complesso come questo nel quale il richiamo esplicito alla filosofia (presocratica e platonica in particolare, alla “sapienza greca” per dirla con Giorgio Colli), al linguaggio e al gioco è perfettamente coerente con gli itinerari della scrittura creativa. Cura è, infatti, l’aver cura di qualcuno o di qualcosa, farsene carico e accompagnarne il cammino esistenziale e, anche, preoccuparsene, essere in ambasce se questo qualcuno soffre e ha bisogno di aiuto, ma la cura in quanto filosofica vuole superare ogni appiattimento sul presente e non limitarsi a “curare” stati emotivi e psicologici negativi perché legati a situazioni lavorative, familiari, relazionali contingenti, bensì ha l’ambizione di rivolgersi all’essere più o meno nascosto, più o meno frustrato che è pur presente in ogni persona in modo da aprire orizzonti invisibili o impensati se si resta prigionieri di una quotidianità che tende a impoverire, svilire, umiliare proprio l’essere. La cura filosofica richiama a ripensarsi in maniera radicale e non soltanto per uscire da un’eventuale impasse esistenziale, ma per restituire alla propria esistenza la dimensione filosofica, vale a dire la capacità costante di pensarsi, di ricollegarsi all’origine dell’essere, di trascendere il qui e l’adesso.
Come la scrittura, anche la cura filosofica possiede un fortissimo legame con il reale e con il presente, ma per comprenderli, interpretarli e ricondurli a uno stato entro il quale l’essere trovi riscatto, riconoscimento, libertà: gioia.
Per questo ci si abbandoni pure alla suggestione che scaturisce dalle argomentazioni e dallo stile della scrittura di Brioschi e Zizzi, essendo nel linguaggio (pur insidioso, talvolta ingannevole o fallace), nella relazione interpersonale che accade nel linguaggio e per mezzo del linguaggio che l’essere individuale, prigioniero e intristito, comincia a riconoscere sé stesso e a schiudersi; si accetti il gioco non solo quale recupero dell’infanzia come stato originario la cui perdita provoca l’ansia, la tristezza, il senso d’incompletezza e d’insoddisfazione che spesso attanagliano la persona, ma come attività e condizione esistenziale irrinunciabile affinché il mondo torni a emanare luce e ad attrarre; si riscoprano i grandi filoni del pensiero greco antico per ritrovare le radici recise di ognuno di noi.
Forse la Cura filosofica è un libro in controtendenza, inattuale, ma nel senso che non accetta l’attualità e vi si oppone (proponendo un’alternativa, una pars construens argomentata e consistente) se attualità significa tempo della resa alle esigenze banausiche del vivere e del lavorare (del produrre), spinte all’involgarimento del vivere e al suo svuotamento di senso e di prospettive esistenziali.
Innamorato come sono della scrittura, ho creduto di intravedere nella Cura filosofica l’attuazione di pratiche creative che l’individuo è chiamato a scoprire in sé e a non più tradire: maieutica e reminiscenza mi sono apparse allora non concetti vagamente appresi da un manuale del liceo o derivanti da racconti mitologici, ma quali pratiche (giocose e gioiose) attive nel linguaggio (è questo il ponte gettato tra le persone e tra ogni persona e la propria origine) e quindi nella scrittura.
La filosofia come pratica quotidiana di liberazione e non come vezzo di pochi illusi o come anacronistica disciplina mi sembra essere l’insistita tesi che innerva tutto il libro, la filosofia quale dischiudersi al mondo e assenso alla vita.